Verso un mondo post-urbano e policentrico by Ferrarotti Franco

Verso un mondo post-urbano e policentrico by Ferrarotti Franco

autore:Ferrarotti Franco [Franco, Ferrarotti]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Armando Armando srl
pubblicato: 2024-01-23T23:00:00+00:00


2. Più soli e più subalterni40

Storie di vita, storie di periferia. Da molti anni metodo e obiettivo della ricerca di Franco Ferrarotti. Protagonisti dell’analisi è la nuova Roma, quella dei borghetti che scompaiono, quella che cresce e si trasforma. Non esiste un altro studioso che abbia dedicato così gran parte del proprio lavoro a questa città.

Vite di periferia è un’altra tappa del viaggio nella vicenda romana. Nel 1970 (Roma da capitale a periferia) Ferrarotti aveva documentato lo stato di degrado a cui la città era giunta sotto la spinta di una vera e propria pianificazione delle borgate. Una spaccatura sociale e culturale, un’asimmetria, uno squilibrio violento, voluto e realizzato dal fascismo, che le borgate aveva creato, per segregarvi centinaia di migliaia di immigrati (e di vecchi abitanti cacciati dal centro storico smantellato) e perpetuato nel dopoguerra dalle forze della speculazione. Quel libro aveva fatto saltare il «mito della città come espressione della comunità naturalmente armonica»; borgataro e baraccato vi apparivano come il prodotto della società precapitalistica. «Nella città basata sul principio della massimizzazione del profitto – scriveva Ferrarotti – le baracche sono la norma; quartieri di lusso e ghetti di miseria sono necessari gli uni agli altri».

Quattro anni dopo, in Vite di baraccati, ecco il colloquio diretto, le interviste che costituiscono «materia prima essenziale per una storia dal basso», ma che non possono bastare, perché – ammise il sociologo – non parlano da sole, ma possono divenire strumento dell’analisi, da inquadrare in una cornice di dati, di numeri, di realtà sociali, in cui la casa, il lavoro, la famiglia, il rapporto con gli altri sono elementi significativi di per sé. L’«uomo della baracca – scrisse allora Ferrarotti – è alienato, emarginato, ma non per una sua colpa individuale». Che riesca a realizzarsi e a emanciparsi o che invece ricada nella disperazione del ghetto «non dipende solo da lui».

Quelle interviste raccolte fra la gente dell’Acquedotto Felice servirono a Ferrarotti per negare che esistesse una cultura della povertà, che i poveri fossero in quanto tali diversi dai ricchi, e per affermare che proprio «mitizzandoli» si arrivava a un più sottile e perfezionato metodo per espropriarli, spogliarli e sfruttarli.

Adesso il quadro cambia. «Se non avviene qualcosa di veramente innovativo – aveva scritto Ferrarotti nel ’70 – la prospettiva è tragica: Roma indicherà il caso di una città premoderna divenuta decrepita senza essere stata industrialmente matura». Qualcosa c’è stato. Nel ’76 i partiti di sinistra hanno conquistato il governo della città. È cominciato il risanamento. Le baracche sono state cancellate. Quella realtà a cui si erano ispirati Moravia, Pasolini, Zavattini, ora è quasi scomparsa.

Ma si può veramente essere soddisfatti? Questa è la nuova domanda. Dopo cinque anni di un intenso lavoro di recupero (solo per le opere igienico-sanitarie il costo globale affrontato dell’amministrazione supera i 300 miliardi, pari ad un milione e mezzo per ogni abitante dei borghetti), Ferrarotti si chiede cosa sia oggi la periferia. Il degrado è finito? La dimensione umana è riconquistata? Il baratro fra la città e l’anti-città è colmato?

Maria



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