Vivere per raccontarla by Gabriel García Márquez

Vivere per raccontarla by Gabriel García Márquez

autore:Gabriel García Márquez [García Márquez, Gabriel]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788852015960
editore: Mondadori
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Malgrado le sue simpatie di destra e la sua amicizia personale con lo stesso Laureano Gómez, Carranza mise in rilievo i sonetti sulle sue pagine letterarie, più come un’anteprima giornalistica che come un proclama politico. Ma la disapprovazione fu quasi unanime. Soprattutto per il controsenso di pubblicarli sul giornale di un liberale fino al midollo come l’ex presidente Eduardo Santos, contrario al pensiero retrogrado di Laureano Gómez come a quello rivoluzionario di Pablo Neruda. La reazione più rumorosa fu quella di chi non tollerava una simile prepotenza da parte di uno straniero. Il solo fatto che tre sonetti casistici e più ingegnosi che poetici potessero originare un tale schiamazzo, fu un sintomo incoraggiante del potere della poesia in quegli anni. Comunque sia, in seguito a Neruda fu vietato l’ingresso in Colombia dallo stesso Laureano Gómez, ormai divenuto presidente della Repubblica, e a suo tempo dal generale Gustavo Rojas Pinilla, ma lui si fermò più volte a Cartagena e a Buenaventura in scali marittimi fra Cile ed Europa. Per gli amici colombiani cui annunciava il suo passaggio, ogni scalo di andata e di ritorno era una grande festa.

Quando entrai nella Facoltà di Legge, nel febbraio del 1947, la mia identificazione con il gruppo Pietra e Cielo era sempre incolume. Sebbene avessi conosciuto i componenti più ragguardevoli in casa di Carlos Martín, a Zipaquirá, non ebbi l’audacia di ricordarlo neppure a Carranza, che era il più abbordabile. Una volta lo incontrai così da vicino e allo scoperto nella libreria Grancolombia, che gli feci un saluto da ammiratore. Mi rispose con grande gentilezza, ma non mi riconobbe. Invece, un’altra volta il maestro León de Greiff si alzò dal suo tavolo al Mulino per venire a salutarmi al mio perché qualcuno gli aveva raccontato che avevo pubblicato racconti su «El Espectador», e mi promise di leggerli. Per sfortuna, poche settimane dopo ebbe luogo la rivolta popolare del 9 aprile, e dovetti abbandonare la città ancora fumante. Quando feci ritorno, di lì a quattro anni, il Mulino era scomparso sotto le sue ceneri, e il maestro si era trasferito con armi, bagagli e corte al caffè L’Automatico, dove diventammo buoni amici di libri e acquavite, e mi insegnò a muovere senza arte né fortuna le pedine degli scacchi.

Ai miei amici del primo periodo sembrava incomprensibile che mi ostinassi a scrivere racconti, e io stesso non me lo spiegavo in un paese in cui la grande arte era la poesia. Lo seppi fin da molto piccolo, per via del successo di Miseria umana, un poema popolare che si vendeva in fascicoli di carta straccia o recitato per due centesimi nei mercati e nei cimiteri dei paesi dei Caraibi. Il romanzo, invece, era scarso. Dopo María, di Jorge Isaacs, se n’erano scritti molti senza grande risonanza. José María Vargas Vila era stato un fenomeno insolito con cinquantadue romanzi che andavano dritti al cuore dei poveri. Viaggiatore instancabile, il suo eccesso di bagaglio erano i suoi stessi libri, che venivano esposti ed esauriti come il pane davanti agli alberghi dell’America Latina e della Spagna.



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