1 Commissario Rebaudengo. Un'indagine al nero di seppia by Cristina Rava

1 Commissario Rebaudengo. Un'indagine al nero di seppia by Cristina Rava

autore:Cristina Rava
La lingua: ita
Format: mobi, epub
ISBN: 9788875638061
editore: Fratelli Frilli Editori
pubblicato: 2007-11-12T23:00:00+00:00


Capitolo 8

Erano le tre di notte, in lontananza un motore d’automobile aveva accompagnato i rintocchi della campana: tre, erano stati solo tre.

L’insonnia è una brutta bestia, comunque, anche quando uno è tranquillo e semplicemente non riesce a dormire. Il fatto d’esser liberi di alzarsi, guardare la televisione, leggere, scrivere, dipingere, spiluccare qualcosa in frigo non consola da un’evidenza: quella di essere svegli in un momento in cui tutti dormono, di sentirsi spogliati di un diritto, il diritto al riposo. L’insonnia si alimenta di questa rabbia, i minuti si sommano ai minuti, diventano ore, scandite da qualche campanile lontano, l’alba si avvicina e si sa già che ai primi chiarori la sonnolenza arriverà dolcissima e pietosa, mezz’ora prima della sveglia, un’ora prima del lavoro. E questa è l’insonnia dell’innocente, del povero borghese medio, con le sue angosce.

Diversa è l’insonnia dell’assassino.

All’infinito, senza la barriera solida delle consuetudini diurne, si ripeteva il filmato dello strangolamento, i minuti che l’avevano preceduto, le parole, quando ancora avresti potuto fermarti, quando un’interruzione avrebbe significato rimanere al di qua, ma quest’interruzione non c’era stata. Invece c’erano stati i lembi della sciarpa sulle spalle della vittima, mescolati ai capelli sciolti e t’era quasi sembrato che avessero ammiccato, che avessero detto, “tiraci, tiraci, più forte che puoi”, in una versione macabra di qualche vecchio gioco delle elementari. E tu hai tirato ed il primo singhiozzo, un verso animale simile ad un rutto, ti ha sorpreso, ti è sembrato strano, non avevi mai sentito un rumore così, e anche se non hai perso la concentrazione nel compito da portare a termine, una cosa da finire in fretta, per pietà più verso di te che verso la vittima, una parte del tuo cervello ha registrato tutto: quelle belle mani che dopo una frazione di secondo in cui si sono slanciate in avanti a cercare un appiglio, subito si sono affannate a liberare il collo dal laccio, senza riuscirci e t’è sembrata un’eternità. Tu hai continuato a stringere, dannatamente, adesso dovevi anche tenerla su, perché non aveva più forza nelle gambe, senza la certezza che fosse già morta, bisognava finire. Così hai dato ancora uno strattone bello secco e ti è venuto bene, quando credevi d’aver esaurito tutta la tua forza.

Riassumendo: poco prima faceva la furba, ti dava le spalle, lo sguardo perso in segrete lontananze, adesso era per terra, bagnata di urina, sì perché la si perde quando si muore strangolati, chissà forse un ancestrale trucco per rendersi repellenti all’aggressore, con la faccia bruna e gonfia e la lingua che le pendeva, come una piccola oloturia, fuori della bocca.

E questa scena arrivava puntuale ogni sera e non andava via, scomposta, frammentata in infiniti fotogrammi che come palloncini grotteschi galleggiavano nella stanza. Quel che t’impediva il sonno non era il pentimento, ma la rabbia per averlo dovuto fare. Poi c’era il rimpianto: quanto sarebbe stato bello se fosse filato tutto liscio, se lei non avesse detto quello che aveva detto, se fosse stata contenta, se non avesse riso! Infine, per quanto tu



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