7 by Tristan Garcia

7 by Tristan Garcia

autore:Tristan Garcia [Garcia, Tristan]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Enne Enne Editore
pubblicato: 2018-04-27T20:36:31+00:00


*

Al pianterreno del castello, sento risuonare le grida acute dei malati in cura al di là di una pesante porta tagliafuoco color indaco e, senza davvero averlo deciso, mi sorprendo a dirigere i miei passi verso l’accettazione dell’ospedale di riabilitazione e a chiedere il numero di stanza dell’ultimo convertito entrato oggi. Si trova ancora in pronto soccorso, a pochi metri da me, in fondo al corridoio in cui gli aiuto-infermieri con la mascherina vanno e vengono nel loro camice verde-azzurro. È sotto osservazione, e non apre bocca.

Dopo aver chiesto l’autorizzazione all’addetto di servizio, che inserisce il codice e mi apre la porta della stanza 131, saluto il giovane uomo, sdraiato su un comodo letto vicino a una piccola finestra da cui ha una vista panoramica sul frutteto, sui tetti del paese e poi sui fianchi della montagna, la cui cima indossa una veste di pioppi gialli sotto il sole d’estate.

La stanza, dipinta di bianco, è tranquilla, fresca, e spoglia.

«Come sta?».

Il letto cigola. Rasato, lavato e sicuramente imbottito di calmanti, l’uomo giace rannicchiato sul fianco, in mezzo alle lenzuola blu in disordine. Respira pesantemente, con gli occhi aperti e un filo di bava che gli cola dalla bocca.

«È lei che mi ha portato qui?».

«Sì» sorrido.

Piange.

Come un idiota, gli chiedo se vuole tornare dentro.

«Oh no! No!». È arrabbiato, ma le medicine danno alla sua collera un tono educato, cortese, quasi spento. «Quelli sono fuori di testa...». Cerca le parole. «La mia infanzia è stata un incubo... amico, quelli credono che non esista niente all’infuori di loro... se torno a casa mi uccidono, sono già morto, peggio. Mia madre...». Si prende la testa fra le mani, cercando di mettersi seduto sul letto, che cigola ancora di più; volta le spalle alla finestra, il pigiama sbottonato. Cerco di sistemarglielo inginocchiandomi davanti a lui.

«Shhh. È al sicuro adesso».

«Cazzo». Mi squadra, sconvolto, la bocca pastosa: «A cosa credete, da questo lato?».

Gli ho riabbottonato la camicia e tirato su il colletto.

«Qui non crediamo. Lei si trova fuori».

Sogghigna: «Fuori?».

«Sì, guardi dalla finestra».

Il giovane si volta e contempla il paesaggio estivo. Poi scoppia in una risata fragorosa. «Mi prende in giro?».

«Guardi. Non c’è niente all’orizzonte: nessuna Porta, nessuna Clausura».

Picchia tre volte sul vetro della finestra.

«Fuori vuol dire fuori... è così?». La sua ironia sprezzante mi mette in imbarazzo. «Fuori vuol dire fuori vuol dire fuori vuol dire fuori. Oh cazzo». Si sfrega le orecchie e comincia a muovere nervosamente la gamba sinistra. «Ma non è vero. E perché lei non è venuto a prendermi?».

«Non ci è permesso. Ci sono centinaia, migliaia di Emisferi come il suo; ognuno è libero di vivere come vuole, di credere e pensare quel che vuole, all’interno delle bolle. Noi non interveniamo – a meno che lei non si presenti da sé».

«Da me?». Assume un’aria interdetta. «Ma che dice? Cosa crede che potessi fare da bambino? Quegli stronzi dei miei genitori avranno anche scelto di rinchiudersi lì dentro, ma io no».

«Hanno tutto il diritto di scegliere l’educazione dei propri figli».

«Ma si rende conto che mi



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