Auletris by Anaïs Nin

Auletris by Anaïs Nin

autore:Anaïs Nin
La lingua: ita
Format: epub
editore: Bompiani
pubblicato: 2021-10-04T00:00:00+00:00


LIBRO SECONDO

MARCEL

Arrivò Marcel, con gli occhi azzurri pieni di stupore, di meraviglia, di riflessi come l’acqua del fiume. Occhi famelici, avidi, nudi. Su quello sguardo innocente, risucchiante, incombevano sopracciglia cespugliose, incolte, come quelle di un selvaggio. Poi l’impressione di selvatichezza era attenuata dalla luminosità della fronte, dalla setosità dei capelli. Anche la pelle era delicata, il naso e la bocca vulnerabili, trasparenti, eppure le mani da campagnolo, come le sopracciglia, affermavano il suo vigore. Là in piedi, fermo, appariva in continuo mutamento tra la più fiera assertività e un’improvvisa eclissi totale del suo essere. Oscillava costantemente, nello stesso momento, tra gli appetiti che schiudevano le sue tumide labbra sensuali e una qualche segreta, pallida fiamma di irrealtà che consumava le sue forze. Una confusione che all’improvviso emanava dal contrasto tra gli occhi sempre sorpresi, l’aureola dorata dei suoi bei capelli, le sopracciglia selvagge e le sue mani brutali.

Quando parlava, a predominare era la follia. La sua folle mania di analizzare. Qualunque cosa gli fosse successa, ogni oggetto che aveva avuto tra le mani, ogni ora della sua giornata veniva costantemente sezionata e commentata. Non poteva baciare, possedere, desiderare, godere, senza procedere immediatamente a commentare, riferire, descrivere. Pianificava ogni mossa in anticipo servendosi dell’astrologia; si era spesso imbattuto nel fantastico, aveva una speciale capacità di trovarlo, ispirarlo, evocarlo. Ma non appena il fantastico gli cadeva addosso, lui lo afferrava con quelle mani da campagnolo, con la violenza di un uomo che non era sicuro di averlo visto, di averlo vissuto, e cercava di farlo diventare reale.

Mi piaceva un attimo prima che cominciasse a parlare. Amavo quel suo essere poroso, sensibile, un attimo prima che cominciasse a parlare, quando sembrava un animalino molto morbido, o molto sensuale, un attimo prima che cominciasse a parlare, quando la sua malattia non era percepibile. Allora sembrava sano, sempre in moto con una borsa pesante piena di scoperte, appunti, programmi, nuovi libri, nuovi talismani, nuovi profumi, fotografie. Sembrava fluttuare come la mia casa galleggiante, senza ormeggi. Andava in giro, peregrinava, esplorava, visitava i dementi, faceva oroscopi, raccoglieva conoscenze esoteriche, collezionava piante e pietre.

“C’è qualcosa di perfetto in tutto quello che non può essere utilizzato,” diceva. “Lo vedo nei frammenti di marmo rimasti dopo il taglio; lo vedo nei pezzi di legno vecchio. C’è qualcosa di perfetto nel corpo di una donna, qualcosa che non può essere raggiunto nei rapporti sessuali, che non può mai essere posseduto, conosciuto completamente.

“Mi rimane sempre una fame, una fame insoddisfatta per l’insolente perfezione del ventre di una donna, per la bianca cattiveria dei suoi fianchi, del suo culo. Non finisco mai di scopare, non finisco mai di raccogliere tutte le cose del mondo, ossa scolpite dell’Artico, stoffe, vetri, alghe, perché non c’è nulla che io possa mai veramente possedere. L’essenza è sempre più in là, irraggiungibile, inafferrabile, torturante.”

Portava la cravatta a fiocco degli artisti bohémien di un secolo fa, un berretto da teppista, una giacca da cavallerizzo o i pantaloni a righe della borghesia francese. Se no, indossava un mantello nero



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