Radici bionde by Bernardine Evaristo

Radici bionde by Bernardine Evaristo

autore:Bernardine Evaristo
La lingua: ita
Format: epub
editore: © SUR, 2021
pubblicato: 2021-11-17T00:00:00+00:00


La salvezza delle anime

Caro Lettore,

siamo ora giunti alla parte della mia storia che riguarda l’acquisto degli schiavi.

La dimora di Byakatonda, grazie al cielo, era costruita nello stile dell’architettura ambossana. Non come una prigione squadrata, ma con le pareti ricurve, circolari. Non era in legno infiammabile, ma in solido fango di alta qualità e facile manutenzione.

Con mio disappunto, invece che a sedermi a gambe incrociate per terra e mangiare con le dita come le persone normali, fui invitato a sedermi a un tavolo e costretto a destreggiarmi con degli attrezzi di metallo più adatti all’agricoltura o alla guerra che al mangiare.

Venne servita una «zuppa invernale», che conteneva le seguenti cose: una carne così dura e stoppacciosa che mi restava incastrata fra i denti, un vegetale simil-cavolo che consisteva di membrane sottili, verdi, acquose, insapori come foglie bagnate, e a galleggiare sopra la minestra degli gnocchetti d’acqua e farina che somigliavano più che altro a rigonfi cadaveri di topi.

Quando chiesi del peperoncino per speziare il tutto, il mio generoso ospite mi disse che il suo palato non riusciva più a tollerarne il sapore e se lo volevo avrei dovuto portarmelo dalla nave.

Troppa grazia!

In fondo era davvero un uomo sciocco, odioso e intrattabile.

Mi fu offerta una bevanda chiamata tè che a vederla sembrava acqua sporca e sapeva di paglia bollita.

Voglio assicurare al lettore che in qualche modo, non so come, riuscii a berla.

Venne fuori che il mio ospite viveva con una moglie ufficiale e ne metteva incinte a più non posso altre, non ufficiali. La moglie ufficiale, che andava sotto il nome di Janet (JAAÀ-NET), era, prevedibilmente, un’indigena. E veniva saggiamente tenuta nascosta da qualche parte.

Byakatonda si vantava di aver messo al mondo tanti bastardi, che intravedeva ogni tanto mentre scorrazzavano per le stradine e i campi dell’insediamento come scimmiette.

Finita la cena, se così la vogliamo chiamare, uscimmo sull’enorme cortile posteriore della casa, dove gli schiavi (incatenati, pigri, fortunatamente docili) erano rinchiusi dentro un recinto da bestiame. Pareva che non fosse più sicuro tenerli dentro le gabbie sulla spiaggia, per via delle bellicose tribù settentrionali che creavano tante noie.

Byakatonda si lamentò del fatto che la potentissima Associazione dei Mercanti di Schiavi Ambossani progettava di costruire un forte proprio su quel tratto di costa, nell’immediato futuro, il che avrebbe probabilmente mandato a monte gli affari dei piccoli mercanti indipendenti come lui.

Mi presentò il suo fidato «ragazzo». Tom, un europiano basso, rugoso e dai capelli bianchi che avrà avuto una sessantina di stagioni.

Mi presi subito una mano con l’altra dietro la schiena per evitare che me ne afferrasse una e la stringesse.

«’Giorno, signor capitano. Allora, qua c’è un bel gruppetto di bianghi freschi freschi. Maschi e femmine, sani e forti. L’aspettavamo da un pezzo, sa. Eeeeccoci pronti! Se non fanno i bravi glieli sistemo io, intanto adesso lei va e sceglie. S’accomodi per di là, così vede un po’ quali vuole».

Sì, avrei fatto proprio quello.

Entrai nel recinto e cominciai le operazioni. Li pungolai per valutarne i riflessi, strizzai i muscoli per saggiarne la forza, le



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