Agata e pietra nera by Ursula K. Le Guin

autore:Ursula K. Le Guin [Le Guin, Ursula K.]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Salani
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00

Viene chiamata amnesia specifica, ed è piuttosto comune in seguito a incidenti, parti, traumi gravi eccetera. Così non sono in grado di dirvi quello che ho fatto. Posso supporre che, essendo profondamente sconvolto, e poiché erano solo le quattro e mezzo, non abbia avuto voglia di andare a casa e abbia continuato a girare in macchina, probabilmente per starmene solo a pensare.

C’è una ripida salita tra due quartieri suburbani a ovest della città. Non so perché mi trovassi lì, forse avevo imboccato la prima strada che andava in su; comunque pare che su quel pendio io abbia preso una curva a velocità troppo alta.

Un automobilista dietro di me vide la macchina uscire di strada e capovolgersi, così chiamò i soccorsi. Ambulanza e tutto il resto, perché ero lì come morto. Commozione cerebrale, e anche una spalla lussata, e una gran quantità di orrendi lividi che diventarono verdi. Ero stato fortunato, dicevano, visto che la macchina era completamente sfasciata.

Quando ripresi conoscenza mi avevano già trasportato in ospedale in città, e dopo un altro giorno potei tornare a casa.

Non ricordo niente né dell’ospedale né di altro, tranne mia madre seduta lì che mi diceva che Jason aveva telefonato due volte e che era venuta Natalie Field. «Che ragazza carina» disse mia madre. Tutto pareva perfettamente naturale, ma assolutamente privo d’interesse per me. La nebbia mi si era veramente chiusa intorno. Ero così solo, dentro la nebbia, che ignoravo che ci fosse qualcosa o qualcuno, fuori. Niente aveva importanza. Era la commozione cerebrale, naturalmente. Ma non solo quella.

Tutta la faccenda fu un duro colpo per mio padre. Prima, certo, quando una voce estranea chiama e dice: «Abbiamo suo figlio qui in ospedale con un grave trauma cranico e possibili lesioni cerebrali», è quanto di meglio possa capitare a uno nel bel mezzo della partita del sabato pomeriggio in tivù. Poi il sollievo e quel senso di gratitudine quando si sa che il figlio si rimetterà. Poi si deve pagare per rimuovere la carcassa dell’auto. E si scopre che la macchina è un rottame. E la moglie dice: «Che importa la macchina, purché Owen stia bene!», e scoppia a piangere. A lui invece gliene importa, della macchina, ma come ammetterlo anche a se stesso dopo tutto questo? E come ammettere di sentirsi terribilmente umiliato dal fatto che suo figlio non sa neanche prendere una curva senza uscire di strada? Dev’esser grato al figlio perché non si è ammazzato. E lo è. Solo ci sono dei momenti che gli vien voglia di ammazzarlo con le sue mani, il figlio. Così entra in camera e dice di non preoccuparsi, l’auto era assicurata, non c’è problema. Non c’è di che preoccuparsi. Solo che fare un’altra assicurazione, dopo questo, verrà a costare molto, così forse sarà meglio non cercare di sostituire subito la macchina. E qui il figlio dice, mentendo: «Sì, certo, va bene».

Rimasi bloccato in casa per un paio di settimane, perché secondo il nostro dottore era più prudente così, finché persisteva quel disturbo alla vista. Fu molto noioso perché non potevo nemmeno leggere, per via che ci vedevo doppio, ma non m’importava.

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