Album bianco by Fabbri Franco

Album bianco by Fabbri Franco

autore:Fabbri Franco [Franco, Fabbri]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788865761335
editore: il Saggiatore
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Capitolo 16

«Mi sembrava che fosse qui… Abbiate pazienza: se non è in fondo a questa via andiamo da un’altra parte e lo cerchiamo meglio domani.» Alessandra e Francesca sono d’accordo: abbiamo freddo e fame, possiamo benissimo accontentarci del ristorantino davanti al quale siamo già passati. Il bistrot dove vorrei tornare, frequentato dagli studenti di Cambridge, lo troveremo con calma. Siamo in una tappa del nostro viaggio d’inverno verso Liverpool, una tradizione familiare degli ultimi anni. Obiettivo: la cena di fine 1997 in un ristorante greco, insieme a Philip Tagg e alla sua masnada assortita di musicologi, tecnici del suono, antropologi, produttori, giornalisti, che girano attorno all’Institute of Popular Music dell’Università di Liverpool. Tanto per non perdere l’esercizio quest’anno ci andiamo in macchina. Cambridge non è proprio sulla strada (lo sarebbe di più Oxford), ma volevo passarci con mia moglie e mia figlia, dividere con loro questo posto che mi piace. Ci sono stato molte volte, ai tempi dell’«avventura» con l’informatica della Ricordi: i dirigenti volevano che se ne occupasse qualcuno che parlava il loro linguaggio, era già costato abbastanza «preparare Ricordi per il futuro» (con relativi paginoni pubblicitari), io venivo su a Cambridge a vedere cosa combinavano i produttori inglesi dei computer che la Casa di Verdi e Puccini si era convinta a vendere in Italia, sulla scia del grande boom informatico del 1983-84. Poco dopo la metà degli anni ottanta qui avevano già progettato e messo in commercio un computer con un processore Risc (si chiamava ARM, prima di Sun (Sparc), Hewlett-Packard (Pa), Motorola e Apple (Power Pc). Negli Usa un processore Risc veniva sviluppato da un team di centinaia di tecnici; qui l’avevano fatto in tre, in un anno. Li avevo conosciuti: uno l’avevo portato in giro per l’Italia a fare conferenze (al Ccr di Ispra, in varie università) per spiegare questa nuova tecnologia, per la quale ogni operazione del processore si conclude in un ciclo di clock, mentre nei processori normali ce ne vogliono due, tre. E così è del tutto inutile confrontare due processori diversi sulla base dei megahertz, se non si sa quanto ci mettono a fare le operazioni (pensare che c’è un sacco di «esperti» che non l’ha capito ancora). Steve Furber, inventore dell’ARM, illustrava il sistema, rispondeva alle domande, poi in macchina parlavamo di chitarre e chitarristi (lui lo era). Un altro progettista lo vedevo a Cambridge, nel suo cubicolo nella sede della Acorn (si chiamava, allora, Roger Wilson: poi ha cambiato sesso, diventando Sophie Wilson); il terzo – un pachistano – l’avrei incontrato in casa di amici, a Mountain View, nella mitica e noiosissima Silicon Valley. L’ARM – non proprio quello, un successore che porta ancora lo stesso nome – è ancora in giro: è il microprocessore che fa funzionare un apparecchietto che si chiama iPod (e anche l’iPad, e la grande maggioranza dei telefoni cellulari, dai Nokia ai Blackberry all’iPhone: guardatevi su Wikipedia la voce ARM architecture). Ma dicevo di Silicon Valley, e della sua noia. Cambridge è un’altra



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