Antico e moderno in Pasolini. La religione del mio tempo su e-book. by Manuela Mellini

autore:Manuela Mellini [Manuela Mellini]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Literature/Poetry
editore: Manuela Mellini
pubblicato: 2003-01-12T23:00:00+00:00

A chiudere le Poesie incivili c'è lo splendido componimento intitolato Il glicine, qui già citato più volte per la lucidità e la forza espressiva. È forse l'opera più polemica e carica d'odio della raccolta, e forse per questo è da considerare lo scritto che maggiormente esprime la delusione delle passioni del poeta, la disillusione dell'immenso amore che Pasolini ha per la realtà e la gente. L'odio, qui, non parte mai dall'indifferenza; non è sterile polemica, ma è piena coscienza di una svolta irrimediabile avvenuta all'interno del mondo occidentale, e un senso di profonda crisi, che coinvolge Pasolini come individuo, ma soprattutto come poeta; è la scoperta del «nesso esistente tra la distruzione di un mondo popolare e di un'intera civiltà, in seguito al boom economico, e il logoramento di un modo d'essere intellettuale e di una funzione poetica».

La poesia si apre con una domanda, «ero morto?», questione ripresa poco dopo senza interrogativi: il poeta ha la certezza di non esistere più. Si trova in un quartiere romano agiato e borghese, «tomba d'ogni passione», quando è colpito dai glicini, che, spiccando «viola nel viola delle nuvole e dei viali», ricoprono ogni muro, ogni superficie. Ma neppure i glicini sono veri e vivi: «non sono vergini / alla vita, sono dei calchi funerei», un'imitazione di qualcosa che un tempo è stato, di qualcosa che in futuro sarà. Il poeta maledice i propri sensi, abili ma non troppo, se restano così colpiti dai «bui / festoni dei glicini»; maledice i sensi altrui, dei vivi, per cui un giorno tornerà aprile, e torneranno i glicini, sempre uguali anno dopo anno; maledice i loro cuori, che pure tanto ama, perché ancora sono ignari della vita. La vita vera è quella che verrà: solo per i nascituri il glicine conserva vergine il proprio fascino. C'è la percezione di qualcosa che crolla, che va in rovina: i glicini, nelle profondità dell'animo del poeta, sono simbolo di caducità, e gli recano una gioia mista a dolore, che lo porta al pianto. Pasolini torna in sé e si accorge che qualcosa è cambiato; si vede triste, straziato di fronte al pallido viola dei fiori, e se la prende con se stesso, perché la sua reazione è contraria a quanto ha finora predicato. Il fantasma del glicine lo avvolge in un pesante senso di sconfitta, lo fa sentire vittima «d'una storia apocalittica, / non di questa storia. Mi contraddico. / Rendo ridicola ogni mia passione / di verità e ragione». E la passione non è se non lo spazio tra il corpo e la storia, dove si trova una «musicalità che stona, / stupenda»; è l'abissale e tortuoso confine da cui nasce ogni sensualità. Pasolini sente quasi invidia del glicine, suo «gemello vegetale», che è solo amore e non altro, che prepotente, feroce, impone la propria presenza, e riesce a far crollare le difese del poeta. «E basti tu, col tuo profumo, oscuro, / caduco rampicante, a farmi puro / di storia come un verme, come un monaco: / e

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