Appia by Paolo Rumiz

Appia by Paolo Rumiz

autore:Paolo Rumiz [Rumiz, Paolo]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Travel, General
ISBN: 9788858825273
Google: uZg6DAAAQBAJ
editore: Feltrinelli Editore
pubblicato: 2016-06-07T22:00:00+00:00


“Toglietevi di mezzo, miserabili”

La Linea va, taglia pazientemente le curve della Statale, le rosicchia metro su metro tagliando romanamente le isoipse con un saliscendi da mal di mare. Ogni tanto un abbeveratoio o una fontana, segno di passaggi antichi. In Appennino come sulle Alpi i pastori si tramandano da sempre i percorsi di padre in figlio, e se ti chiedi fino a quando si può risalire di figlio in padre, la risposta è: l’età del bronzo. Tanta è la continuità dei passaggi e dei racconti a essi collegati, in un’identità assoluta fra passaggio e memoria.

Marco e Vinicio ci hanno mollato con la promessa di tornare, e ora ci sentiamo un po’ più soli. Transita un’auto ogni cinque minuti, raffiche di Levante ci prendono di tre quarti, sulla sinistra, a ore undici. È come risalire un fiume di vento, secco come uno uadi, o lottare con la corrente di un enorme asciugacapelli. Un viaggio sempre contromano, che in più fa perdere il senso del tempo.

È martedì? Giovedì? Per saperlo devo guardare l’orologio. Il caldo aumenta, i cani liberi pure. Le borracce sono già vuote a metà tappa, il cielo frigge di spasmi elettromagnetici. Sta arrivando una perturbazione, battezzata Ferox dagli allarmisti del meteo. Pioverà? Magari. Riccardo apre la strada come un rabdomante, concentrato nel ruolo. Lo vedo, piegato in avanti, puntare su quota 944, il tetto del viaggio.

Ma eccole, immense, totalitarie, in cima alla collina. A decine, a centinaia. Idoli antichi in versione fantascienza come nei racconti di Ray Bradbury. Pale eoliche le chiamano. Toccano il cielo e sono l’ultimo capolavoro della devastazione. Sembrano lente ma, quando ci sei sotto, precipitano come ghigliottine, pare siano sempre sul punto di staccarsi dal giunto come braccia slogate. Novanta metri di sola colonna portante. Ombre smisurate che gesticolano sul grano in tempesta e dicono: Che fate, toglietevi di mezzo miserabili. Ma le formiche testarde passano, rintronate dalle raffiche e dalla vibrazione che le accompagna, passano silenziose in un rombo planetario come di jet in decollo. Uno schianto oltre il quale c’è il nulla.

La vibrazione dei rotori è solo l’ultimo sigillo di una lunga storia di sconfitte. Ha spento le voci delle masserie e silenziato il canto dei toponimi. Guardo la mappa igm e leggo: Setoleto, Santa Marena, Contrada Murgia. C’è ancora qualcuno dei vivi che sa dire dove sono? Stiamo camminando in un mondo arcaico di orti e di vigne che in vent’anni è diventato archeologia, soppiantato dai parchi eolici e dalla monocoltura da frumento. Ma la mutazione genetica del paesaggio è cominciata già negli anni sessanta, con i forestali che estirpavano le essenze mediterranee per mettere al loro posto abeti alpini che poi non sono cresciuti mai; li vedi ancora, rachitici, a bordo strada. Poi sono arrivati gli enologi del Nord che hanno importato modelli di viticoltura alieni al clima del Mezzogiorno.

Oggi l’Aglianico non ha quasi più tra i filari gli olmi che gli davano il sapore. Si sono ammalati i castagni, i migliori d’Irpinia. Poi è arrivato il tabacco, che ora non conviene più ma non è stato sostituito da nulla, perché ha irrimediabilmente appestato i terreni.



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