Appunti per un naufragio by Davide Enia

Appunti per un naufragio by Davide Enia

autore:Davide Enia
La lingua: ita
Format: epub
editore: Sellerio Editore
pubblicato: 2017-07-06T16:00:00+00:00


Il naufragio del 3 ottobre 2013 avvenne prima dell’alba, a meno di mezzo miglio dalle coste di Lampedusa, all’altezza della cala detta Tabaccara. La dinamica dell’affondamento fu spietatamente semplice: alla vista della terraferma qualcuno, per fare luce e segnalare così la posizione dell’imbarcazione, diede fuoco a qualcosa, forse una coperta. Sul barcone c’era gasolio ovunque. Divampò una fiammata improvvisa sul ponte strapieno. Le persone accalcate istintivamente si ritrassero per non bruciarsi. Quello spostamento immediato provocò uno squilibrio decisivo in un assetto già ampiamente precario. Il peschereccio si rovesciò e in un tempo brevissimo colò a picco.

Tra ponte e sottocoperta c’erano più di cinquecento persone.

I superstiti furono centocinquantacinque.

I cadaveri recuperati in mare, trecentosessantotto.

La tragedia del 3 ottobre segnò uno spartiacque. Per la prima volta si videro, si recuperarono e si contarono moltissimi cadaveri sulle rive dell’Europa. Le immagini dei corpi privi di vita che galleggiavano in mare finirono sui mezzi di comunicazione di tutto il mondo. C’era anche un feto appena espulso, ancora attaccato alla madre per il cordone ombelicale. Sull’acqua non era visibile alcun relitto eppure i cadaveri erano sparsi dappertutto. Nelle ore successive alle prime immagini mostrate in TV, il mondo della politica nazionale ed europea prese d’assalto l’isola e sfilò davanti alle telecamere.

Un proverbio siciliano recita: «’u morto inzìgna a chiàncere».

* * *

«Quel giorno ero già in mare, avevamo dormito in barca, come succedeva spesso durante le sere d’estate, sia di quello stesso anno che dei precedenti. Questo non accadde più negli anni a seguire. Non sono più uscito di notte in barca. Non con gli amici, non con altra gente, non da solo. Da quel giorno, il mio approccio al mare è cambiato completamente».

Vito l’avevo incontrato a casa sua. Al centro del tavolo, aveva poggiato due bicchieri e una bottiglia di acqua fresca appena presa dal frigo. Aveva tolto il tappo alla bottiglia e versato l’acqua, per poi riposizionarla esattamente tra me e lui.

«Ho sempre lavorato intensamente, perché a me il lavoro piace. Ho iniziato a lavorare fin da piccolino, aiutavo papà in falegnameria. Poi divenni programmatore meccanografico, quando i computer erano proprio grossi, il più piccolo era circa venti metri quadri. Quando finivo le canoniche otto ore da programmatore, tornavo ad aiutare papà in falegnameria, finché nel ’73 mi licenziai dal centro meccanografico per dedicarmi interamente alla falegnameria di famiglia. Realizzavamo arredi d’interni e allestimenti fieristici, il che mi ha permesso di girare il mondo. Poi arrivai qui a Lampedusa per la prima volta nel 2000, per rilassarmi, per staccare dalla città e dal lavoro. Ero veramente stanco. Bastarono due settimane di ferie per innamorarmene. Rientrato a casa, decisi di cessare l’attività. Avvertivo con forza il bisogno di ritornare qua».

Uomini di fede, come mio papà, sostengono che, per quanto imperscrutabili e misteriosi siano i disegni celesti, è pur sempre il libero arbitrio l’ago della bilancia che indirizza il corso delle cose. E se gli eventi sono determinati dal concatenarsi tra loro delle azioni e delle reazioni, nonostante una innegabile meccanica della materia, la fede aiuta a percepire l’esistenza di qualcosa di misterioso.



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