Aprire il fuoco by Luciano Bianciardi

Aprire il fuoco by Luciano Bianciardi

autore:Luciano Bianciardi [Bianciardi, Luciano]
La lingua: ita
Format: epub, mobi
Tags: archivio ladri di biblioteche
pubblicato: 2014-04-11T22:00:00+00:00


IX

Senza avvedercene, come spesso succede in città quando la conversazione assorbe, passin passino ci eravamo allontanati di sul portone di Palazzo Marino. Sera imboccata la Galleria e ormai stavamo già passeggiando sul Corso. E sempre senza avvedercene, mi pare, io l’avevo presa sottobraccio mentre continuavo a parlare, di queste e di altre cose ancora che però non rammento bene e dunque non mi azzardo a riferirle, sempre per amore di esattezza storica. Rammento che Giuditta non rise, ma neanche si sdegnò, quando le ebbi insegnato la rilevanza di quel triviale improperio, che fu poi molto comune a Milano e in provincia durante quelle fatidiche cinque giornate. Mi riscossi soltanto quando fummo dinanzi alla Rinascente, fermi con la faccia a una vetrina, che nessuno dei due peraltro guardava. Mi riscossi e, battendomi la mano sulla fronte, dissi:

« Gli amici. Palazzo Marino ».

« Giusto » rispose Giuditta. « Ce n’eravamo scordati. Sarà meglio che torniamo a prenderli. »

Così rifacemmo tutta la strada alla rovescia, di passo svelto, in silenzio, e in pochi minuti fummo daccapo là. Troppo tardi però. Ci informò il portiere che quei tali signori milanesi col podestà alla testa erano usciti da cinque minuti almeno, avevano chiesto di noi, e poi se n’erano andati II portiere anzi rammentava che andandosene uno di loro aveva detto ridendo :

« Avranno trovato qualcosa di meglio da fare, quei due ».

« Certamente » osservò Giuditta. « Siamo stati a lezione di lingua »

Il portiere non capi, o forse capì male, ma non disse nulla.

« Che vogliamo fare? » chiesi io.

« Io non avrei impegni » disse Giuditta. « E lei? »

« Neanche. »

« E allora, perché non si continua la nostra bella lezione di lingua, caro il mio professorino? »

« La prego, non canzoni. Andiamocene a spasso, discorrendo liberamente, ma basta con le lezioni. » Senz’avvedermene, avevo riaperto la scuola peripatetica, con buona pace del sommo Aristotile.

Era ormai calata la sera, le strade del centro si andavano popolando di impiegati in sortita dall’ufficio, di gendarmi spocchiosi con due sigari in bocca, di gente gobba e avvilita dalla stanchezza, di peripatetiche arrembate col polpaccio stanco per il lungo battere, di eventuali clienti con l’occhio febbrile. Nelle vetrine delle tabaccherie vistosi cartelli annunciavano che il tabacco non c’era, ma la gente ci entrava lo stesso a comperare borsellini, pettinini, cagnolini di pezza e portachiavi dorati. I timori del Forte si dimostravano senza fondamento. Ai consumi alternativi la gente provvide spontaneamente e senza bisogno di piano : in quei giorni non mancò il guadagno per i titolari delle privative di stato, evitande«! tuttavia tabacchi e anche francobolli. Laddove all’appalto si accompagnava una mescita, quella era da tutti la preferita, e la gente prendeva anche tre volte l’aperitivo, e si sbronzava così prima di andare a tavola.

Con Giuditta discutemmo anche di questo, e ce ne compiacemmo. Parlammo di tante cose: lei mi raccontò tutta o quasi la vita sua, l’infanzia con i numerosi fratelli nella casa del Testaccio a Roma, l’adolescenza nel collegio delle monache, dove aveva



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