Arma Infero 2 - I Cieli di Muareb by Fabio Carta

Arma Infero 2 - I Cieli di Muareb by Fabio Carta

autore:Fabio Carta [Carta, Fabio]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Inspired Digital Publishing
pubblicato: 2016-05-16T22:00:00+00:00


Capitolo 23

IL CONVIVIO

Il piantone all’ingresso del palazzo lesse la risolutezza nel mio deciso incedere e non provò nemmeno a fermarmi, ché anzi con la coda dell’occhio lo vidi profondersi in mute reverenze al mio indirizzo; mi trovai così in un chiostro affollato da soldati e nobili generali, con sarchiatori, fauni balzanti e zodion da battaglia di ogni genere posteggiati lungo e sotto l’ampio colonnato perimetrale, lì dove per decenni, se non per secoli, avevano placidamente passeggiato solo gli amministratori coloniali ammessi nella ristretta cerchia del priore.

Incurante, mi concessi qualche passo nel giardino per rigenerare i sensi, poiché in esso regnava una balsamica mescolanza di profumi floreali tale da coprire la ristagnante aria di fogna che, come una cappa, incombeva dalla volta della cupola su tutta la città.

In alto alcuni lucernai incrostati si aprivano a raggio sulla polverosa superficie concava della geodetica, e proprio sotto uno di questi spicchi di lercio cristallo stava il grande padiglione di Silen, col candore del tetto spiovente, tutto fronzoli e nappe dagli smalti allegri, immerso nella luce ingiallita dall’incuria del vetro.

Ricordando i fasti della sua corte lontana, il principe si era infatti rifiutato di prendere alloggio nella modesta tenuta del priore di Azin, che a quanto seppi poi aveva ceduto a signori meno schizzinosi di lui, e aveva fatto in modo e maniera di ricavarsi uno spazio nell’ampio giardino del palazzo, così da poter menar vanto a chiunque della sua nobile scelta di condividere gli stenti della vita da campo, al pari – secondo lui – della truppa accampata tutt’intorno ad Azin.

E così, tra le fronde odorose del giardino del priore, era sorto dal nulla il tabernacolo del principe di Dragan, comandante supremo dell’armata della Falange; un sontuoso alloggio invero, comprensivo d’una sala da trono e di un salone da banchetti; ed è nell’affollamento di quest’ultima sala che giunsi io, perso nel clamore del convivio, non visto proprio perché immerso nella confusione dei molti presenti.

Al centro stava una grande tavola ricolma di teste fronzute: personalità eccellenti provenienti da tutti i calanchi occidentali, con al seguito un prevedibile stuolo di prosseneti; molti di loro ridevano, brilli se non addirittura sfacciatamente ubriachi, ma non per superficialità o mero vizio, non per incoscienza o altro, mi dissi, poiché ognuno di loro leggeva nel viso dell’altro, cogli occhi dell’ebbrezza, la propria disperazione e la propria paura.

Silen non c’era.

Pur in assenza del loro principe, seduti ad un tavolo ricoperto da tovaglie così preziose da sembrare arazzi, i signori della Falange mangiavano carni prelibate di fauno delle qualità e razze migliori, e lo facevano con stoviglie d’oro incrostate di gemme, anche se tutta la loro attenzione in quella libagione – constatai – era stata soprattutto per i vini, i sidri e le birre, giacché erano più o meno tutti ubriachi oltre ogni decenza. Anche se lo avevano fatto per non pensare alla tremenda sconfitta subita ad Alesian, anche se lo avevano fatto perché per loro era intollerabile l’ammissione della forza e astuzia superiori dimostrate sul campo dal nemico, non potei che



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