Bestiario selvatico. Appunti sui ritorni e sugli intrusi by Massimo Zamboni

Bestiario selvatico. Appunti sui ritorni e sugli intrusi by Massimo Zamboni

autore:Massimo Zamboni
La lingua: ita
Format: epub
editore: La nave di Teseo
pubblicato: 2023-03-15T00:00:00+00:00


Quattro muggiti ravvicinati interrompono la tessitura sonora del fondale, composta dall’eco di trattori alla falciatura e dal gracidio di residue rane tradizionali. Quei versi segnalano che una rana toro è a pochi metri, disponibile a farsi ascoltare. E benché non sia l’ora, ma sia il luogo, si resta in silenzio, immobili, all’erta. L’orario è inconsueto: primo pomeriggio ribollente, un orario in cui dovrebbero essere rintanate. Ma ecco, ancora; tre muggiti. Avanzo di un passo tra le canne. Cinque muggiti, sei. Tento ancora due passi strisciati. Arrivo a meno di un metro, e lei si lascia cadere in acqua con il tonfo che farebbe una salama da sugo ferrarese che precipita dall’alto nella pentola di bollitura.

Lithobates catesbeianus: rana toro. O rana bue, a seconda di chi la racconta. Le foto che arrivano da investigatori della pianura mostrano una mano guantata che con buona fatica ne tiene sospeso un esemplare sopra un lavandino casalingo. Sullo sfondo piastrelle da bagno in ceramica, una confezione di Magic Shine Lucida Cruscotto e una di 100 Brill con spruzzatore: un tono domestico in una scena di per sé piuttosto surreale. La rana è rigida come un gatto afferrato per la collottola, con l’aria di chi è stato colto in flagrante e tutto cerca di negare. Una pagliuzza stretta in bocca a mo’ di sigaretta accentua l’aria malandrina. Per l’aspetto mariolo che ha è facile farsi prendere dalla voglia di raccontarla con tonalità grottesche, senza peraltro volerla sminuire per il rispetto che ogni creatura merita. Ma dovessimo consigliarle un hobby, sarebbe la pesca con la dinamite nei canali; un mestiere ideale potrebbe essere la distillazione clandestina; uno strumento musicale sarebbe una Hohner Blues Harp. Un cappello di paglia in testa andrebbe a chiudere il quadro. Non per niente la Lithobates arriva a noi dalle zone umide di Canada e Stati Uniti, terre di fuorilegge di tutto rispetto. Poco sembra scuoterla, tanta acqua ha visto passare sotto i ponti della bassa padana dall’anno 1935 di prima importazione. Nelle nostre valli era arrivata in virtù delle sue cosce, considerate potenzialmente assai più appetitose di quelle dei batraci nostrani, piatto autoctono delle lande lungo Po. Zampe così grassottelle se ne erano viste mai e qualche imprenditore deve averle pensate adatte a rinvigorire una tradizione culinaria che degli animali umidi – rane, lumache, la psola, paranza di fiume – aveva fatto una delle sue bandiere. Esperimento di poco successo poiché nonostante la fame generalizzata di quegli anni gli uomini delle rive non hanno mai preso in seria considerazione l’idea di friggere nello strutto tutto quel ben di dio d’importazione. Così, al solito, stancamente si aprono le paratie, si svuotano le gabbie, si evacuano gli acquari. Qualche rete si rompe, e la rana toro si scopre in prevalenza mantovana.

Le sue dimensioni le racconta un filmato che arriva dalla medesima pianura, dove un secchio da muratore accoglie una rana grande abbastanza da coprirne il fondo: un chilo e più di materia anfibia per quasi una spanna di lunghezza. Se



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