Black out dell’immagine by Riccardo Panattoni

autore:Riccardo Panattoni [Panattoni, Riccardo]
La lingua: ita
Format: epub, azw3
ISBN: 978-88-6774-043-7
editore: Pearson Italia, Milano-Torino
pubblicato: 2013-10-20T22:00:00+00:00

Capitolo 9 - Scivolare nel tempo

Se capita di nuotare in piscina senza l’uso degli occhialini, scrive John Berger,[1] uscendo dall’acqua il proprio sguardo sarà come avvolto da una lieve foschia. Foschia che non sembra tanto provocata, come in effetti è, dai nostri occhi infiammati, quanto piuttosto depositata su ciò che stiamo guardando, come se autonomamente avvolgesse quei corpi che ancora continuano a nuotare in piscina o si stanno allontanando per andare con ogni probabilità a farsi una doccia prima di asciugarsi i capelli. Da quello stato dei nostri occhi è come ci fosse restituito qualcosa della tipica indecidibilità del nostro sguardo; sebbene la foschia appartenga esclusivamente allo stato fisiologico di quest’ultimo, la sua presenza effettiva non ci stupisce più di tanto nel suo essere trasmessa alla realtà di ciò che vediamo. È come se la realtà ci potesse in effetti apparire proprio così, come se quel modo di vederla potesse corrispondere a qualcosa di effettivo e non a una realtà che in fondo appare al nostro sguardo semplicemente annebbiata.

Questo spiega perché quel tipo di percezione della propria vista, afferma Berger, pur essendo strettamente legato allo stato fisiologico dei propri occhi, alla loro infiammazione dovuta alla presenza del cloro nell’acqua della piscina, sembra avere a che fare anche con il pensiero. Qualcosa lega la foschia degli occhi infiammati dal cloro con il modo in cui i nostri pensieri si formano. In fondo pensare, prosegue Berger, significa anche riempire un vuoto.

Di primo impatto quest’ultima affermazione sembrerebbe paradossale, in quanto un pensiero, anche nella sua formulazione più semplice, è semmai un pieno, risponde almeno di tutto il peso della sua articolazione. Eppure nell’affermare che il pensiero possa servire anche a riempire un vuoto, si svela un fondo abitualmente inascoltato attraverso cui lo stesso pensiero prende forma.

Situazione analoga si presenta nel momento in cui qualcuno, cogliendo un momento in cui siamo assorti o sembriamo sovrappensiero rispetto a quello che ci viene detto, ci chiede improvvisamente a che cosa stiamo pensando. La prima reazione è sempre una sorta d’imbarazzo. Di solito rispondiamo che non stiamo pensando a niente di particolare, forse per difenderci dall’eccessiva invadenza della domanda, dal suo aspetto così diretto, ma quella risposta nasce dal fatto che abitualmente pensiamo a più cose contemporaneamente e così non è facile rispondere a quella domanda senza in qualche modo mentire. Affermare di non pensare a niente di particolare, nella sua evasività, è in fondo la risposta più sincera che possiamo dare. Se invece rispondiamo diversamente, se scegliamo di indicare un pensiero è perché probabilmente tra i vari pensieri che ci scorrono nella mente ce n’è qualcuno che non vogliamo condividere con la persona che è con noi e così facciamo deliberatamente una scelta per tacere di quello che non vogliamo condividere o, al contrario, afferriamo l’opportunità di quella domanda per introdurre un argomento che ci preme in quel momento affrontare, come se fosse effettivamente l’unico pensiero che in quel momento stava attraversando la nostra mente. Pensare contemporaneamente più cose, passare velocemente da un pensiero all’altro, è dovuto al fatto che i nostri pensieri sono continuamente attraversati da immagini.

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