Boy by Dahl Roald

Boy by Dahl Roald

autore:Dahl Roald
La lingua: ita
Format: epub


Nota. Brani delle mie lettere e altri appunti.

TORNO A CASA VENERDI' PROSSIMO 17 DICEMBRE col treno dell'1 e 36 (una e trentasei) per favore vieni a prendermi. Questa è la più lunga lettera che ti ho scritto in questo trimestre. ULTIMA LETTERA DELLA DOMENICA.

Millissime grazie per il dentifricio e lo spazzolino e la cioccolata.

Ora sono sotto allenamento e non posso mangiare che frutta.

Sto prendendo il calcio, ma non ho ancora bisogno delle pillole.

Bene o male riuscii ad arrivare alla fine del primo trimestre al Saint Peter's e, verso gli ultimi di dicembre, mia madre arrivò col battello a pale per riportare me e il mio bagaglio a casa per le vacanze natalizie. Oh che felicità, che meraviglia ritrovarmi di nuovo coi miei dopo tutte quelle settimane di ferrea disciplina!

Se non siete stati in collegio da piccoli vi sarà assolutamente impossibile apprezzare il fascino della vita familiare. Valeva quasi la pena di lasciarla, tanto il ritorno era meraviglioso. Non potevo quasi credere di non dovermi più lavare al mattino con l'acqua fredda, o far silenzio nei corridoi, o dire Signore a tutti gli uomini adulti che incontravo, o usare il vaso da notte in camera, o ricevere dei colpi di salvietta umida quando ero nudo nello spogliatoio, o mangiare per prima colazione della farinata piena di grumi grigiastri simili a caccole di pecora, o passare tutta la giornata nel terrore continuo della lunga canna gialla posata su un armadietto in un angolo dello studio del Direttore.

Il tempo fu particolarmente mite durante quel primo Natale a casa e, una radiosa mattinata, tutta la famiglia si apprestò alla sua prima gita nella prima auto che avessimo mai posseduto. Era un'enorme vettura francese nera, decappottabile, di marca De Dion-Bouton.

L'avrebbe guidata la mia decrepita sorellastra, di dodici anni maggiore di me (aveva allora ventun anni), la stessa ch'era stata operata d'appendicite.

Aveva preso ben due intere mezz'ore di lezione di guida dall'uomo che ci aveva consegnato l'automobile e questo, nell'anno di grazia 1925, era considerato più che sufficiente. Nessuno era obbligato a sostenere un esame di guida; ognuno giudicava da sé la propria preparazione e, quando si sentiva pronto, via che andava. Quando fummo tutti stipati nella vettura, eravamo così eccitati da non riuscire a contenerci.

Che velocità può raggiungere? strillavamo. Ottanta chilometri all'ora?

Posso fargliene fare novanta rispondeva la mia decrepita sorellastra, con un tono così sicuro e impudente che avrebbe dovuto spaventarci a morte, ma noi non ci badammo.

Oh, sì, andiamo a novanta! urlavamo. Ci prometti che arriverai a novanta?

Forse anche più veloci annunciò lei, infilandosi i guanti da guida e annodandosi una sciarpa intorno alla testa, secondo i dettami della moda automobilistica di allora.

Data la mitezza del clima, la capote di tela era stata ripiegata, trasformando la macchina in un bellissimo torpedone scoperto. Davanti stavamo in tre, la guidatrice al volante, il mio fratellastro diciottenne e la mia sorellina di dodici. Dietro, gli altri quattro membri della famiglia: mia madre, quarant'anni, le sorelline di otto e cinque anni, e io, di nove anni. La macchina



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