Calabresi, Mario by Quello che non ti dicono
autore:Quello che non ti dicono
La lingua: ita
Format: azw3
editore: Mondadori
pubblicato: 2020-09-29T12:00:00+00:00
La baita
Un pomeriggio di inizio estate, Carlo porta Gianni Tognoni a vedere la baita sul lago sopra Carate. Arrivano in cima prima del tramonto, vogliono capire se sia possibile sistemarla per accogliere un poâ di amici. La casa è abbandonata da decenni, piena di ragnatele e foglie, non câè lâacqua corrente, per riempire i secchi è necessario salire fino alla fontana del paese. Ma nonostante tutto decidono che la si può trasformare in un posto sufficientemente vivibile per godersi lo splendore del lago e del silenzio.
Sono talmente contenti del progetto che sentono il bisogno di esprimerlo fisicamente come fossero bambini. Per tornare alla macchina prima che faccia buio, si gettano in una corsa infinita dalla baita fino al lago, a capofitto, gridandosi a vicenda di non rompersi una gamba e il collo nelle curve ripidissime. Gianni, quella sera, scopre un Carlo diverso: «Capace di ridere e di mettere da parte, per una volta, il perenne imbarazzo che lo frenava in ogni gesto».
Tornarono spesso in quella casa, che si trasformò continuamente. La corsa della sera dellâinaugurazione rimase mitica e quasi simbolica di quello che andavano a cercare lassù: «Il gusto di rapporti umani liberi, fatti di cose semplici e dirette, la rottura delle abitudini e dei ritmi».
La «casa di Carlo a Carate» divenne un punto di riferimento per tanti, che ci misero dentro lavoro, tempo e fantasia. Tagliarono il prato e le piante, pulirono, rimisero in funzione il camino, portarono dei letti, una libreria, due tavoli. Gianni Tognoni si inventò un luogo di vacanza comunitaria, dove invitava le famiglie degli operai, dove si andava a studiare e discutere, dove si coltivava lâidealismo.
La baita ritornò a essere ciò che era â rovi e ragnatele â dal quel mattino del maggio 1975 in cui, allâalba, arrivarono i carabinieri: «A fare cosa? Mandati da chi? La casa della fiducia era diventata quella del sospetto e non aveva più senso. La corsa di quella sera era terminata».
Quando i carabinieri fecero irruzione, cercando forse tracce dei rapitori di Carlo o immaginando che potesse essere uno dei luoghi sicuri che lui aveva concesso a chi era in clandestinità , trovarono, stupiti, soltanto un frate somalo, un francescano che era salito per preparare in solitudine la sua tesi di laurea. Il giovane prete fu lâultimo ospite di questa comune con vista lago, poi venne svuotata in fretta e tornò a essere rifugio per i ghiri e regno dellâerba alta.
La baita non câentrava nulla con quelli di Potere Operaio, con i traffici di Fioroni, con le nascenti Brigate Rosse, era un luogo pulito, gemello della casa di Quarto Oggiaro dove si faceva il risotto con la salsiccia: «Ancora prima dellâarrivo dei carabinieri, però,» ricorda Gianni «il sogno era finito: il rapimento di Carlo aveva ucciso unâidea e una possibilità ».
Il racconto di quella corsa lâho trovato nella prima delle lettere che mi è capitata tra le mani, scavando tra le carte che Piero mi ha lasciato prendere. Gianni lo scrisse per la madre di Carlo, in uno sforzo generoso di farle
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