Calder (Italian Edition) by Riccardo Venturi

Calder (Italian Edition) by Riccardo Venturi

autore:Riccardo Venturi [Venturi, Riccardo]
La lingua: ita
Format: epub
Amazon: B00LFLLSRC
editore: Giunti
pubblicato: 2014-07-02T00:00:00+00:00


1937-1976: Verso un’arte pubblica

Il nome “mobiles” fece fortuna e finì per ispirare anche Arp che, riferendosi ai lavori non motorizzati esposti alla galleria Percier nel 1931, disse a Calder: «Ebbene, se questi sono i mobiles, come le chiamerai quelle cose che esponevi l’anno scorso, si trattava forse di stabiles?». Un nome puntualmente adottato dall’artista per le opere in cui il movimento era in potenza, il potenziale della scultura piuttosto che una sua proprietà come nei mobiles. Stabiles si rivelò presto un termine abbastanza duttile da includervi anche le grandi sculture in acciaio degli anni Sessanta, quando le loro dimensioni si fanno monumentali e le commissioni pubbliche e private si moltiplicano. Un processo cruciale dell’arte di Calder, già intravisto nel 1937 alla galleria Pierre Matisse di New York, dove l’artista espone per la prima volta Devilfish e Big Bird, e ripreso nel 1949 alla Terza esposizione internazionale di scultura a Filadelfia, in cui presenta l’ambizioso International Mobile, che misura più di sei metri per sei.

A cambiare non sono solo le dimensioni delle sculture, fino allora a grandezza umana, quanto lo stesso rapporto di scala, attraverso l’uso della “maquette”. Per esempio, la scultura .125 (1957), tredici metri e mezzo d’altezza – all’aeroporto JFK di New York –, è ricavata da un modello di appena quarantatre centimetri, laddove The Whirling Ear – sita all’esterno del padiglione degli Stati Uniti alla Fiera mondiale di Bruxelles del 1958 – è alta circa sei metri a partire da un modello di circa trenta centimetri. L’importanza della scala corre parallela alla monumentalità delle opere, almeno a partire da Teodelapio (1962), commissionatagli da Giovanni Carandente per il Festival dei due mondi di Spoleto e ancora oggi sullo spiazzo davanti alla stazione. È a questo tipo di sculture che Calder consacra gli ultimi vent’anni di attività, realizzandone più di trecento, semplificando progressivamente le forme, grazie alla padronanza assoluta nel maneggiare e bilanciare i diversi elementi, nel distribuire pesi e contrappesi senza rinunciare alle loro caratteristiche e anzi rendendo più perspicua la loro vitalità. Che la semplicità sia solo apparente, risultato di un paziente processo d’elaborazione, lo si deduce dai disegni preparatori o dall’indispensabile presenza dell’artista in fase di allestimento delle opere.

«La mia opera può esser diventata un po’ più strutturata, ma l’idea generale è la stessa», affermava Calder. La monumentalità ne modificò pertanto il modo di produzione: se non volle mai servirsi della collaborazione di un assistente, non poté però rinunciare alla fabbrica per manipolare i materiali industriali. «Nel 1958, avevo tre fonderie che lavoravano per me, due a Waterbury [Connecticut] e, a una quindicina di chilometri di distanza, una a Watertown. Quando guidavo da una all’altra mi sentivo come un businessman di fama». A queste si aggiungerà, nel 1962, quella di Biémont a Tours, in Francia, con cui realizzerà ben centotrentasette opere. All’aspetto artigianale del lavoro artistico subentra così quello meccanizzato dell’industria anche se, a differenza di quanto avverrà sin dagli anni Sessanta con il minimalismo, è assente una divisione puntuale tra spazio dell’atelier e spazio industriale. Due spazi che, nel caso di Calder, si contaminano e finiscono per sovrapporsi.



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