Cani, l'arte delle lettere by AA. VV

Cani, l'arte delle lettere by AA. VV

autore:AA. VV. [VV., AA.]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Feltrinelli Editore
pubblicato: 2022-10-05T10:43:33+00:00


LA LETTERA

Alla sorgente della Sorga

25 agosto 1351

Il tuo cane più nero della pece, più leggero del vento, più fedele di ogni altro cane, appena tu fosti partito, “si fermò, andò errando per la via”, come dice Virgilio di Creusa; ma non credo, com’egli proseguiva dicendo, che “stanco posasse”. Nessuna corsa, nessun’asprezza di cammino potrebbe stancarlo, lui che è capace di raggiungere una lepre che sembri volare e librarsi nell’aria; la fatica alimenta i nobili animali, il troppo riposo li uccide. Tornato dunque indietro per errore, non per stanchezza, e perdute le tue tracce, addolorato e non sapendo che fare, sarebbe forse andato nelle selve a cercarsi da sé il proprio cibo – cosa per lui facile e di nessuna fatica – se non gliel’avesse impedito madre natura, che vuole che il cane non viva lontano dall’uomo. Perché di tutti gli animali che sono soggetti all’uomo, nessuno è più fedele del cane, come si afferma, nessuno più difficilmente si stacca dall’uomo.

Sappiamo che alcuni popoli avevano in guerra schiere di cani invece di mercenari, i quali ogni qualvolta occorreva, prestando fedelissimo aiuto, non si allontanavano mai dalla mischia; leggiamo che alcuni cani incontrarono la morte per i loro padroni e altri valorosamente e felicemente li difesero; altri non meno fedelmente, ma con minor fortuna, li difesero finché essi stessi non furono uccisi, sicché nessun male si poté fare ai loro padroni finché il cane era vivo; altri, rimasti vivi dopo morto il padrone, ma pieni di ferite, rimasero tuttavia sul posto, e se non poterono difendere il cadavere dagli uomini, lo difesero almeno dagli assalti delle fiere e degli uccelli; alcuni vendicarono la morte del padrone; altri con le zampe pietosamente lo disseppellivano, e con morsi e lamentosi latrati rivelarono i colpevoli mescolati tra la folla e li costrinsero a confessare il loro delitto; altri, morto il padrone, si astennero dal cibo fino a morirne, come fece a Padova quel cane a me ben noto, dopo la morte crudele e da me tanto lacrimata del suo padrone, ottimo signore, all’anima e alle ceneri e alla memoria del quale molto io son debitore; alcuni si narra che rimasero ostinatamente sulla pietra del sepolcro, né poterono esserne allontanati prima che fossero morti d’inedia; altri saltarono nel rogo ardente del loro padrone e arsero con lui. Meraviglioso è quel che narrano Plinio Secondo e Solino del Re de’ Saramanti, che con l’aiuto di duecento cani che combatterono per lui contro i suoi avversari si salvò dall’esilio. Miserando è il caso avvenuto a Roma di un cane che, non potendo essere allontanato, riuscì a seguire in carcere il suo padrone; e quando poi questi fu giustiziato, con lunghi ululati manifestò il suo dolore; poi, incitato a mangiare dal popolo mosso a compassione, portò il cibo alla bocca del suo padrone; e infine, gettato il cadavere nel Tevere, nuotando e ad esso sobbarcandosi cercò di sostenerlo, non senza gloria, per ripetere le parole di Plinio, “essendosi la moltitudine adunata ad ammirare la sua fedeltà”. Innumerevoli sono gli esempi della, per dir così, fedeltà canina.



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