Catastrofi d'arte by Luigi Bonfante

Catastrofi d'arte by Luigi Bonfante

autore:Luigi Bonfante [Bonfante, Luigi]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Johan & Levi
pubblicato: 2019-07-15T00:00:00+00:00


Il valore “catastrofico” dell’opera di Klein sta nel fatto che manifesta per la prima volta con un’evidenza mai vista questa automitopoiesi artistica: la costruzione del proprio mito diventa essa stessa un’opera d’arte.

Tuttavia sarebbe sbagliato considerarla soltanto una strategia. L’artworld di Klein è in conclusione la paradossale sintesi di due progetti apparentemente incompatibili: da una parte, la costruzione del proprio brand tipica dell’artista contemporaneo; dall’altra, la trasformazione spirituale del Sé, che molte avanguardie novecentesche hanno ereditato dal Romanticismo e, prima ancora, dallo Gnosticismo.

La trasformazione del soggetto è infatti un processo fondamentale del pensiero gnostico di matrice neoplatonica, che, come una corrente carsica, riaffiora tra fine Ottocento e inizio Novecento nella teosofia e nell’antroposofia. Tale pensiero, com’è noto, ebbe un ruolo importante nella nascita della pittura astratta (Kandinsky, Mondrian, Kupka e in parte Malevič), oltre che nell’arte di un altro autore contemporaneo e “catastrofico” come Joseph Beuys.23 Per la filosofia gnostica l’arte è un percorso spirituale che prende la forma di una conversione personale realizzata attraverso l’opera, paragonabile all’opus dell’alchimista. A questo pensiero e alla tradizione alchemica si richiama esplicitamente la dottrina di Heindel di cui si è nutrito Klein.

È anche su questo sfondo teorico di un modernismo impregnato di ideali romantici e spiritualistici che bisogna inserire i temi del “vuoto” e del superamento dell’arte che caratterizzano la catastrofe Klein. La cui natura anfibia e contraddittoria deriva proprio dall’esplosiva fusione di tale sfondo e di quello contemporaneo sopra descritto.

Secondo McEvilley, Klein ha incarnato, più di chiunque altro, due tendenze contraddittorie dell’arte del Novecento: da una parte la tendenza all’«astrazione trascendente» che fa capo a Malevič, dall’altra la vocazione dadaista alla «parodia decostruttiva» che fa capo a Duchamp. È in un certo senso il punto di «intersezione delle traiettorie di Malevič e Duchamp», il punto in cui si fondono «il sublime e il ridicolo».24

Io credo invece che nell’artworld di Klein non ci siano né l’uno né l’altro. Klein è un puer, un naïf arrivato all’arte da una mistica del colore scavalcando in blocco la tradizione. È vero che con Malevič ha in comune l’enfasi mistica e con Duchamp la tematica del superamento dell’arte. Ma lo scarto è flagrante, soprattutto con quest’ultimo. Klein era un narcisista, un esibizionista emotivo che nutriva grandi ideali, ma dipendeva dall’approvazione altrui e puntava sempre al possesso del palcoscenico. Duchamp era un solipsista razionale, indifferente all’approvazione degli altri, che riteneva qualunque fede o ideale un errore, e preferiva il retroscena. Anche se entrambi miravano al superamento dell’arte, si muovevano in direzioni opposte: Klein credeva che l’arte fosse destinata a dissolversi assieme agli ego individuali nello Spazio-Spirito predicato da Heindel; Duchamp sosteneva che l’arte fosse un semplice “fare” o una forma di “masturbazione” e non credeva in niente se non nel suo essere un individuo libero (cfr. Catastrofe uno). Per entrambi l’arte, in fondo, non è tanto una questione di opere, ma un modo di vivere. Solo che per Duchamp tale esito è semplicemente l’arte di respirare, libero da doveri, funzioni e ideali; mentre per Klein è l’arte della trasformazione alchemica del Sé.



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