Come vedessero due soli: religione, scienza, modernità by Roberto Bondì

autore:Roberto Bondì [Bondì, Roberto]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Religion, Religion & Science, Science, Philosophy & Social Aspects
ISBN: 9788875781668
Google: TtTgSAAACAAJ
editore: Codice
pubblicato: 2010-04-15T11:52:53+00:00

Inoltre, premessa la «grande differenza etica tra “procurare la morte” e “permettere la morte”», grazie all’«assistenza religiosa» il dolore può essere trasfigurato «in atto di amore redentivo» e la morte «in apertura verso la vita in Dio»91.

Ma davvero ci sono differenze tra “lasciar morire”, “aiutare a morire” e “provocare il morire”? Umberto Veronesi risponde distinguendo: «Sul piano della legge e della deontologia è evidente che sì. Ma, se queste differenze possono valere ai fini del codice penale e del codice di deontologia professionale, saremmo molto ipocriti se sostenessimo che sono diverse anche sul piano filosofico ed etico». Non lo sono perché «rispondono tutte allo scopo che si persegue, cioè abbreviare con un atto di pietà le sofferenze del malato»92. «Non è bene il vivere» diceva Seneca «ma il ben vivere», per cui il «savio» aggiungeva «vive quanto deve» e «non quanto puote» (Epistulae ad Lucilium 70)93. È un ammonimento che secondo Veronesi «va girato alla medicina». Il medico «consapevole e umano» che non è più in grado di «aumentare la quantità della vita» del paziente deve «migliorare la qualità di vita a costo di abbreviarne la quantità». E non si tratta affatto di omicidio: la sua professionalità «non consiste nel mantenere in vita il paziente a ogni costo». Quando lo fa, «manca proprio al dovere deontologico di non far soffrire». Veronesi cerca di smontare la tesi del «sovvertimento dell’ordine naturale». Alla domanda se «la richiesta di eutanasia, cioè di morire senza sofferenza, quando è in atto una malattia incurabile e irreversibile che ha come punto di arrivo la morte contrasta i principi della natura» Veronesi risponde che l’ineluttabilità della morte fa sì che quella richiesta si traduca soltanto in un’anticipazione della morte stessa affinché sia «meno traumatica»: quindi «non vi è sovvertimento dell’ordine naturale»94. La risposta, però, anche nel caso in cui sia funzionale a una precisa strategia argomentativa, resta in sé equivoca: qualunque scelta non è buona (o cattiva) perché non sovverte (o sovverte) l’ordine naturale. Su un punto Veronesi ha perfettamente ragione: a monte del dibattito sull’eutanasia sta una situazione resa possibile dal progresso scientifico, quella cioè che riguarda «persone alle quali la vita viene prolungata artificialmente grazie alle apparecchiature sempre più perfezionate, e la cui morte viene “medicalizzata”»95. Così come sembra che abbia ragione Carlo Flamigni quando afferma che «in Italia certamente non esistono né una cultura né una prassi medica ispirate alla riduzione del dolore»96.

Appare difficile negare il peso esercitato sulla prassi medica dalla concezione cristiana della sofferenza. Ne è un esempio la scarsa diffusione, in Italia, dell’epidurale. Qui si mescolano eredità bibliche («con dolore partorirai figli») e ingenue quanto potenti identificazioni tra naturalità da un lato e bontà, normalità, saggezza dall’altro.

Opponendosi alla “propaganda materialista”, che denunciava una contraddizione tra la verità della scienza e quella della Scrittura, Pio XII si era fatto carico di dare un’interpretazione corretta della condanna divina della donna al dolore. Nell’intervento, che risale al 1956, sui Dettami morali e religiosi circa il parto naturale indolore, papa Pacelli affermava che «nel punire

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