Critica della retorica democratica by Luciano Canfora

Critica della retorica democratica by Luciano Canfora

autore:Luciano Canfora [Canfora, Luciano]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Political Science, Essays
ISBN: 9788858112243
Google: vjCODAAAQBAJ
editore: Gius.Laterza & Figli Spa
pubblicato: 2014-03-28T23:00:00+00:00


Note

1 Cfr. supra, p. 33.

2 Cfr. supra p. 48.

3 Cfr. infra, cap. 9.

9. Antonio Gramsci elItista integrale

La critica della «democrazia» occidentale, prospettata dal pensiero elitista e conservatore alla fine del secolo XIX, aveva fatto, a suo tempo, un buon lavoro sul piano analitico. Il più originale interprete di quella stagione intellettuale fu Antonio Gramsci. Non mi riferisco genericamente all’insieme del «corpus» gramsciano, dove spira comunque la lezione dei grandi critici «a-democratici» (come Gaetano Mosca ebbe a definirsi), bensì piuttosto a quella importante trattazione compresa nel Quaderno 131, intitolata Il numero e la qualità nei regimi rappresentativi, che è forse la più completa riflessione di Gramsci sull’argomento. Il filo conduttore di queste pagine è la netta distinzione tra critica oligarchica e critica elitistica del parlamentarismo (dei «regimi rappresentativi» fondati sul «numero»). La critica oligarchica è ingenua, nonostante la sua apparente scaltrezza: crede che davvero i regimi parlamentari si basino sulla prevalenza della maggioranza, del «numero», e si impegna nell’antica e sempre ritornante denuncia della cecità del criterio del numero. «Uno dei luoghi comuni più banali – scrive Gramsci – che si vanno ripetendo contro il sistema elettivo [...] è che il numero sia in esso legge suprema»2. Obietta Gramsci: «Ma il fatto è che non è vero, in nessun modo, che il numero sia ‘legge suprema’, né che il peso dell’opinione di ogni elettore sia esattamente uguale».

Forte dell’analisi elitista intorno alla formazione del consenso elettorale, Gramsci prosegue osservando che «i numeri, anche in questo caso, sono un semplice valore strumentale, che danno una misura e un rapporto»; e soggiunge: «Si misura proprio l’efficacia e la capacità di espansione e di persuasione delle opinioni di pochi, delle minoranze attive, delle élites, delle avanguardie ecc.». Per Gramsci – anche in questo in piena sintonia con l’analisi elitistica – «le idee e le opinioni non nascono spontaneamente nel cervello di ogni singolo: hanno avuto un centro di formazione, di irradiazione, di diffusione, di persuasione [...]. La numerazione dei voti è la manifestazione terminale» – così Gramsci felicemente si esprime – «di un lungo processo, in cui l’influsso massimo appartiene» proprio ai centri «di irradiazione» più forti, alle élites decisive. Onde commenta: «se questo gruppo di ottimati, nonostante le forze materiali sterminate che possiede, non ha il consenso della maggioranza, sarà da giudicare inetto»!3

La critica «banale» – come Gramsci la definisce – che si indigna perché, in regime parlamentare, i disuguali conterebbero tutti alla stessa maniera nonostante il loro diverso valore personale, è da ritenersi dunque infondata. È la critica «di origine oligarchica». Agli antipodi si pone l’analisi elitistica, e Gramsci istituisce tra le due una vera polarità. La critica elitistica è quella capace di comprendere come le «maggioranze» che si formano nei «regimi rappresentativi» siano appunto il frutto della capacità di influenza (di «irradiazione», per usare l’espressione usata da Gramsci), della capacità – diremmo noi – di creare il consenso. L’elitista vede ciò che l’oligarca non vede: che cioè il trionfo del numero, in «democrazia», è solo apparente.

Gramsci è talmente persuaso della giustezza della



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