Cultura del gesto e cultura della parola by Unknown

autore:Unknown
La lingua: eng
Format: epub
editore: Meltemi
pubblicato: 2023-02-03T15:06:44+00:00

Storia e cultura della comunità sorda in Italia.

1874-1922

Franco Zatini

Prima di sbattere la porta in faccia al gesto, conviene studiarlo.

Elmi, 1959

La “cultura” ha origine dalle usanze di ogni popolo e dalle peculiarità di ogni paese. Anche se la cultura dei sordi in precedenza non esisteva, il sordo è sempre esistito. Infatti le fonti ne attestano la presenza sin dai tempi degli antichi greci e romani. Allora infatti il sordomuto, privo di istruzione, rimaneva completamente isolato nel suo stato e veniva sfruttato per i lavori più umili e faticosi sia in seno alla famiglia che nel mondo esterno. Se l’individuo, oltre a essere sordo, aveva anche altri handicap, allora aveva davvero poche speranze. Queste sono state per secoli e secoli le condizioni di vita dei sordi, fino a quando, nel 1500, un italiano, Girolamo Cardano, segnalò la possibilità di educare il sordomuto (Crimen Est). Tuttavia per la messa in atto del suo pensiero ci vollero altri due secoli. Fino ad allora i sordomuti furono considerati e classificati come dei “deficienti”.

Nel Mistero della luce (1784) di Pasquale Di Pietro si promise l’apertura della scuola per sordomuti a Roma, affidata all’abate Tommaso Silvestri, allievo dell’abate C. de l’Épée. Così cominciarono ad aprirsi scuole per sordomuti in tutta Italia: Napoli, Milano, Genova, Torino, ecc.

A questo punto i sordomuti crearono un proprio mondo di interrelazioni basate su una comunicazione visivo-gestuale e si aprirono alle reciproche esperienze scolastiche e professionali sviluppando la loro cultura esclusivamente all’interno dell’istituzione convittuale. Concluso l’arco scolastico i sordi tornavano a casa e quindi all’isolamento tra gli udenti. Dunque la mancanza di comunicazione con il mondo degli udenti fu la causa del loro isolamento come potrebbe accadere a dei normoudenti in un paese straniero con costumi e tradizioni sue proprie. I sordi, dopo l’istruzione, comunicavano facilmente con i segni ma poco oralmente, questo perché si preferiva la metodologia francese rispetto a quella tedesca (quest’ultima era presente in pochissimi istituti italiani). La mancanza di una struttura e la conseguente difficoltà a inserirsi nel mondo esterno portarono i sordi ad allontanarsi sempre più dal mondo degli udenti e a confermare il proprio isolamento.

Gli educatori, del resto, erano consapevoli dei problemi che i sordi incontravano una volta usciti dagli istituti. Infatti, nonostante molti di loro lavorassero, le loro occupazioni si riducevano a lavori di tipo artigianale: sarto, calzolaio, falegname, ecc. e anche se molti di loro avevano raggiunto un buon livello d’istruzione, erano in ogni caso esclusi dal lavoro in fabbrica, dove la legge impediva loro di essere assunti per ragioni previdenziali, e non avevano nessuna possibilità di fare carriera in campo lavorativo. Rimanevano così relegati in un universo sociale limitato, chiusi come sempre in sé stessi.

Per far fronte a questi problemi, intanto, a Milano, i sordomuti Felice Carbonera e Carlo Triarca, che lavoravano nei loro istituti di appartenenza come maestri rispettivamente del lavoro e del disegno, ebbero l’idea di convincere i sordi della fondamentale necessità di continuare a restare in contatto tra di loro anche una volta fuori della scuola. Bisognava riscattarsi dalle ingiustizie che

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