Darwinismo morale. Da Darwin alle neuroscienze by Alessandra Attanasio

autore:Alessandra Attanasio
La lingua: ita
Format: epub
editore: UTET
pubblicato: 2010-11-15T00:00:00+00:00

5.2 | Il funzionalismo ovvero le funzioni algoritmiche del cervello

Per il funzionalismo le cose del mondo sono in virtù della funzione svolta all’interno di un sistema. Quindi gli eventi mentali sono definiti essenzialmente in base alla loro funzione e si risolvono nelle relazioni causali interne, indipendentemente dalla loro costituzione fisica. Il funzionalismo vede infatti il cervello in termini di processi funzionali descrivibili in termini di algoritmi. In questo senso il funzionalismo può considerarsi una variante dell’istruzionismo e una via di mezzo tra il comportamentismo, che identifica gli stati mentali con il comportamento, e la teoria dell’identità, che sostiene che gli stati mentali si identificano con gli stati cerebrali.

In breve. Il comportamentismo afferma che i soli dati importanti per la psicologia sono quelli comportamentali, cioè risposte fisiche (pubblicamente osservabili) a stimoli fisici (eventi fisici nell’ambiente), mentre gli stati interni mentali sono da escludere dalla indagine psicologica. Tutto ciò che è mentale, non osservabile, cioè privato e non pubblico, deve essere ignorato. Due principalmente sono le forme di comportamentismo. Per il comportamentismo metodologico compito della psicologia è scoprire le correlazioni tra input e output comportamentali (Watson, 1925), senza alcun riferimento alle entità misteriose postulate dal mentalismo, considerate sullo stesso piano della superstizione, della magia e delle «pratiche vudù». Cioè gli stati mentali esistono ma non sono significativi per la prassi scientifica. Il comportamentismo logico sostiene invece che non è possibile riferirsi a entità mentali se non in quanto riducibili a comportamento: attribuire a un organismo uno stato mentale (p. es. la sete) significa dire che quell’organismo è disposto a comportarsi in un particolare modo (p. es. bere). Entrambe le versioni di comportamentismo sono quindi forme di riduzionismo: gli stati mentali non sono eliminati, bensì ridotti a «disposizioni comportamentali». È possibile infatti, come afferma Ryle nel suo famoso libro Lo spirito come comportamento (1949), tradurre senza residui gli enunciati sulla mente in enunciati sul comportamento. La traduzione ha forma ipotetica perché il mentale a cui ci si riferisce si presenta sotto forma di disposizioni o schemi di comportamento. Il comportamentismo quindi è una forma di materialismo eliminativo. Infatti, se la mente è riportata dentro la natura corporea dell’agente, tuttavia la mente rimane, come dice Watson, in uno stato di «anestesia generale».

La teoria dell’identità dei tipi (type identity theory) considera lo stato mentale come proprietà universali (avere un dolore, provare piacere), la teoria dell’identità delle occorrenze (token identity theory) è focalizzata invece sull’occorrenza degli universali. L’identità mente-cervello ha comunque in entrambe carattere empirico come l’identità tra lampi e scariche (Smart, 1967) o tra molecole H2O e acqua (Feigl, 1958). Pertanto entrambe le versioni sono forme di fisicalismo, fisicalismo dei tipi la prima e fisicalismo delle occorrenze la seconda. Inoltre, la prima è una forma di riduzionismo forte basato su leggi universali psicofisiche: la proprietà mentale è riducibile a proprietà cerebrale, e quindi non c’è alcuna proprietà mentale che non sia anche fisica. La seconda versione della teoria dell’identità, quella delle occorrenze, è più debole: a ogni proprietà mentale corrisponde una occorrenza di proprietà cerebrali, senza alcun rinvio a relazioni nomologiche, di legge, tra proprietà mentali e fisiche.

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