Dell'abitare by Maurizio Vitta

Dell'abitare by Maurizio Vitta

autore:Maurizio Vitta [Vitta, Maurizio]
La lingua: ita
Format: epub
editore: EINAUDI


Capitolo quarto

Oggetti

1. Arredare: architettura o design?

Kant non aveva dubbi: l’architettura è arte che «esibisce materialmente concetti di cose come potrebbero esistere in natura», e il cui aspetto essenziale è «la sua adeguatezza a un certo uso». Perciò ad essa appartengono di diritto le abitazioni, «potendosi anche aggiungervi i mobili (i lavori da falegname [Tischler] e simili utensili)». Il progetto dell’arredamento entra quindi di diritto nel progetto architettonico, forte di una illustre legittimazione: ciò che Kant sottintende, nella sovrana condiscendenza del suo accenno ai «falegnami» (inattesa irruzione della rozza quotidianità nel tempio della filosofia), è che la natura intrinsecamente progettuale dell’abitazione non si esaurisce nella sua dignità architettonica, ma si prolunga negli arredi fino alla piú modesta opera di un artigianato che, ai suoi tempi, era già esponente di una sofisticata specializzazione (sebbene egli non faccia alcun accenno agli ebanisti [Kunsttischler]). In tal modo il design si è affacciato sul progetto dell’abitazione nelle umili sembianze dell’artigiano, dalle quali però già traspariva l’orgoglio di un sapere a suo modo illustre, che ha pesato a lungo sugli sviluppi di questa moderna disciplina, al punto di contrapporla, nel disegno dell’arredamento, all’architettura.

Le storie del moderno abitare non sono avare di particolari circa il conflitto di competenze tra architettura e design sul terreno degli arredi. Nel crogiolo della cultura nordeuropea a cavallo tra il XIX e il XX secolo, l’idea della Gesamtkunstwerk, dell’opera d’arte totale, di matrice wagneriana, ha riverberato il suo fascino sulla progettazione di un abitare che si volle il piú possibile unitario. L’ossessione di Henry Van de Velde per la continuità formale dell’abitazione, dal disegno degli spazi architettonici a quello degli arredi, fino ai piú minuti particolari, come le maniglie delle porte, gli utensili e perfino gli abiti degli abitanti, non fu che la spettacolare manifestazione di una tendenza che può essere fatta risalire a William Morris e che ha serpeggiato a lungo nella storia della cultura progettuale. La foto che ritrae Elisabeth Förster-Nietzsche sulla porta della sede degli archivi Nietzsche a Weimar, progettata nel 1904 da Van de Velde, con indosso l’abito disegnato dallo stesso architetto, che fa da contrappunto a una maniglia ispirata ai medesimi principî formali, o quella della moglie di Van de Velde, anche lei abbigliata nello stesso stile della casa d’abitazione interamente disegnata dal marito nel 1898, assumono il valore di un manifesto: l’abitare vi è inteso come un continuum tra il corpo, gli spazi, gli oggetti, secondo una visione che caratterizzerà, piú o meno ridimensionata, il lavoro di molti maestri moderni, da Mackintosh a Gropius, da Hoffmann a Gaudí, da Le Corbusier a Gio Ponti. Contemporaneamente, però, gli sviluppi dell’industria e del mercato ebbero come loro corollario il passaggio del design dall’idea di «arte applicata all’industria» a quella di «disegno industriale», che trovò proprio nel settore dell’arredamento il suo nucleo piú vitale.

Su questo versante, la cultura dell’arredare ha puntato sulla discontinuità, sulla disaggregazione dei mobili in «pezzi» autonomi, a se stanti, disegnati per se stessi, prodotti in serie e già pronti sul mercato, e quindi offerti alla



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