Diecimila anni di birra by Patrick E. McGovern

Diecimila anni di birra by Patrick E. McGovern

autore:Patrick E. McGovern [Patrick E. McGovern]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2023-03-27T00:00:00+00:00


Sotto le onde

La prima prova marittima della strategia cananea e fenicia, finalizzata ad attirare i popoli mediterranei verso la cultura enologica, viene dal più antico relitto scoperto finora nel Mediterraneo. Il mercantile, riportato alla luce dall’Institute of Nautical Archaeology della Texas A&M University, colò a picco intorno al 1300 a.C. al largo della frastagliata costa della Turchia meridionale, vicino al capo di Uluburun. L’imbarcazione era stracarica di materie prime e beni di lusso provenienti dal panorama internazionale della tarda età del bronzo: undici tonnellate di lingotti di rame e stagno, corni potori (i già citati rhytá greci) fatti di faïence (un silicato artificiale), scarabei egiziani e sigilli cilindrici del Vicino Oriente, coppe micenee (in greco, kýlikes) e molto altro. Probabilmente veniva da una città stato lungo la costa del Levante, perché è fatta di cedro del Libano in stile cananeo. Gli oggetti ritrovati a bordo, aventi funzioni decorative, religiose e pratiche – tra cui gioielli d’oro, la statuina d’una dea rivestita in foglia d’oro, lampade a olio e pesi in pietra a forma di animali –, dimostrano che gli ufficiali e l’equipaggio erano Cananei.

Poiché la nave di Uluburun risale a un’epoca di commerci sempre più floridi con l’estero e fu costruita e governata da patiti del vino cananeo, sarebbe ragionevole aspettarsi che la stiva ospitasse anche alcuni vasi cananei o anfore di vino, come nel caso delle navi successive. In effetti, dal relitto furono recuperati circa centocinquanta vasi. Purtroppo i tappi saltarono via dopo che, con molta probabilità, la nave affondò durante una violenta tempesta e si arenò su un pendio scosceso. Nel corso dei millenni, il contenuto dei vasi si sparpagliò e si mescolò al fondale marino, deteriorandosi.

Un indizio importante per stabilire il contenuto di alcuni vasi, tuttavia, era il fatto che circa la metà presentava ancora noduli e frammenti di linfa di terebinto (Pistacia sp.). Diversi recipienti ne erano pieni per un quarto o per metà, con un peso che poteva raggiungere un chilogrammo, ma la maggior parte conteneva meno di cento grammi.

Si ricorderà che di solito i vini antichi – quello di Re Scorpione I ne è un esempio emblematico – erano resinati, probabilmente per facilitarne la conservazione. Non è perciò impossibile che molti vasi di Uluburun contenenti piccole quantità di resina di terebinto, tra cui forse sessantasei recipienti «vuoti», abbiano ospitato un vino che è fuoriuscito e andato perduto. Forse i recipienti con le quantità maggiori di linfa erano destinati ad altri scopi, come la medicina, l’uso nella mummificazione o la produzione di incenso.

Verificammo l’«ipotesi del vino» per i vasi cananei a bordo della nave di Uluburun analizzando cinque campioni di terebinto e cercando il composto caratteristico del vino, ossia l’acido tartarico. Se i recipienti avevano contenuto vino, la linfa avrebbe dovuto assorbire e trattenere questa sostanza. Avremmo preferito esaminare campioni di ceramica provenienti dai vasi, ma non erano disponibili.

Per l’analisi usammo il metodo chimico più sensibile a nostra disposizione, cioè l’LC-MS-MS (capitolo 3). I risultati confermarono l’«ipotesi del vino»: due campioni erano positivi e un terzo era borderline positivo.



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