Emmanuelle II by E. Arsan

Emmanuelle II by E. Arsan

autore:E. Arsan [Arsan, E.]
La lingua: ita
Format: epub
Amazon: B0012PLH9K
editore: Eric Losfeld
pubblicato: 1968-10-15T00:00:00+00:00


CAPITOLO QUINTO – LA LEGGE

Venite, amici miei, non è troppo tardi per

cercare un mondo più nuovo.

TENNYSON, Ulysses

Tu hai creato la notte e io ho fatto la lampada,

Tu ha creato l’argilla e io ho fatto la tazza,

Tu hai creato i deserti, le montagne e le foreste,

Io ho fatto i frutteti, i giardini e i boschetti,

Io ho mutato in specchio la pietra,

Io ho mutato il veleno in antidoto.

MOHAMMED IQBAL

Mario fece accomodare la visitatrice sul divano di cuoio rosso, soffice come raso, tra le lampade giapponesi. Un boy, vestito soltanto di pantaloni aderenti azzurro vivo, aperti sulle cosce lateralmente, portò un vassoio di bicchieri e s’inginocchiò per deporli sul lungo e stretto tavolo anch’esso di cuoio.

La casa di Mario era costruita in legno, a picco sul canale nero e agitato dai riflessi della luna. A un piano solo, sembrava dall’esterno un edificio straniero. Quando vi si entrava, il lusso dei mobili e delle stoffe era sorprendente. Il salone si apriva sul khlong in tutta la sua lunghezza. Dal posto in cui si trovava, Emmanuelle poteva vedere le barche, cariche di bevande zuccherate, di noci di cocco e di bambù ripieni di riso cotto, incrociare nella notte gli isolotti di liane e di foglie trascinati dalla corrente. L’uomo o la donna che, in piedi a poppa, curvo sull’unico remo s’affaticava bilanciando il piede, gettava all’interno della stanza, passando, un’occhiata placida. Al pignone del vicino tempio, le campanelle di rame dal battaglio a forma di foglia di fico bodhi, agitate dal vento, emettevano due tintinnanti note, l’una tenue, l’altra grave e come ferita. In lontananza, un gong chiamava i bonzi al riposo. La voce di una donna attaccò una rauca ninnananna alla culla di un bambino.

— Verrà un amico — disse Mario.

La sua voce smorzata s’adeguò alle ombre delle figure del budda tracciate sul muro dal laconico chiarore delle lampade. Emmanuelle avverte una specie di inquietudine fisica, al punto di bere d’un sol colpo mezzo bicchiere del forte cocktail servito dal boy. Ma l’effetto dell’alcool non basta a sciogliere il nodo che si è formato in lei. Cosa sta capitando? Ha vergogna di questa paura indeterminata e tenta di spezzare l’assurdo incantesimo:

— Lo conosco? — chiede.

Solo dopo aver parlato l’assale la delusione: così Mario non si cura neanche di esser solo con lei! E lei che aveva creduto che volesse averla in suo potere. Aveva rifiutato il marito, e adesso invita qualcun altro, un qualsiasi cicisbeo. Mario risponde:

— No. L’ho incontrato per la prima volta avant’ieri, a una festa di amici. È inglese, un individuo affascinante. E con una pelle stupefacente. Il sole di questo paese gli ha dato una tinta unita e bruciata… come dire? un colore che profuma. Le piacerà.

La gelosia e l’umiliazione stringono il cuore di Emmanuelle. Mario parla di quest’uomo con una ghiottoneria che gli fa sospendere la frase tra parola e parola, come se la seguente venisse scelta dopo ampi dibattiti di coscienza, come se – così Emmanuelle immagina – avesse in mano un coltello delicato e fosse chino sulla vetrina di un pasticciere.



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