Flaiano Ennio - 1947 - Tempo di uccidere by Flaiano Ennio

Flaiano Ennio - 1947 - Tempo di uccidere by Flaiano Ennio

autore:Flaiano Ennio [Flaiano Ennio]
La lingua: ita
Format: epub, mobi
Tags: Fiction, General
ISBN: 9788858691748
Google: t_4-DwAAQBAJ
editore: Bur
pubblicato: 2017-11-22T23:00:00+00:00


CAPITOLO QUINTO

Il dado e la vita

Il giorno dopo ero a Massaua. Il piroscafo sarebbe partito a notte alta; era attraccato alla banchina principale e vedevo il suo nome a lettere bianche dipinte di fresco. “Forse riuscirò” pensai. Dovevo imbarcarmi, ma soprattutto non lasciarmi prendere. Ripetei più volte a me stesso questa frase.

Era possibile capire qualcosa, con quel caldo, senza prima ripeterselo più volte? Una vuota apatia mi stava conquistando e stetti lì fermo più di un’ora a considerare la triste situazione in cui mi ero cacciato. La licenza era un tranello. M’avrebbero preso a bordo o allo sbarco, a Napoli. Ma dovevo egualmente imbarcarmi e nascondermi, pagando qualche complicità tra il personale di bordo. Dovevo arrivare a Napoli.

Non lasciarsi prendere. Ricordavo la mia partenza dal campo, di notte, la sosta davanti alla baracca del dottore. Là era il dottore; nel suo boschetto di eucalyptus, addormentato nella branda, i giornali sparsi a terra e la macchina per il caffè sul tavolo. Forse aveva la rivoltella sotto il cuscino, e forse vegliava pensando a me. Pensava a me, senz’altro. Con pietà, ma anche indignandosi per il mio tentativo di ucciderlo. E non avrebbe mai saputo ch’ero stato a quattro passi da lui, più di un’ora, tentato di ucciderlo davvero. Ma che vantaggio ne avrei tratto? Fatta la denuncia, egli aveva perduto ogni importanza, s’era salvato; se l’avessi ucciso sarebbe stata una sciocca vendetta, altre imputazioni e sempre un minor numero di complici. Eppure, avevo esitato ad allontanarmi, pensando: “Se la sua pigrizia fosse stata così forte da consigliargli di rimandare la denuncia a domani?”, No, non dovevo illudermi a tal punto sulla pigrizia del medico. “E allora,” avevo detto dorma in pace quest’amico dottore che muove la testa così a sproposito.”

All’alba avevo fermato un camion, dopo aver camminato tutta notte attraverso i campi. E, trascorsa qualche ora, avevo sentito l’alito caldo e salato del mare. “È il mare?”

“Sì, è il mare” aveva risposto il conducente. Tutte le mie irragionevoli speranze s’erano destate ed ero giunto a Massaua canterellando. Ora la città evaporava e il piroscafo era lì pronto, con il nome dipinto di fresco, ma non dava segno di vita. Spirava anzi quell’aria di abbandono che fa presagire un ritardo della partenza, o addirittura nessuna partenza. Sapevo invece che sarebbe partito a notte alta.

Salii la scaletta e mi trovai sulla passeggiata. C’era il buon odore di vernice calda e niente altro, non più quel fiato impercettibile che a volte le cose esalavano sulla terra, attorno a me. Vernice calda, la buona, cara vernice delle barche esposte al sole, un odore che mi stordì di fiducia. Mi addentrai nel salone e qui l’aria era più calda, ma intima. Guardai un divano e mi parve la cosa più nuova del mondo. C’erano anche molte poltrone e, su un tavolo, un vassoio con tre bicchieri di cristallo. Ne presi uno: era un bicchiere alto, leggero e, quando lo toccai con un’unghia, mandò un suono che non sentivo da molto tempo, un suono festivo, pieno di promesse.



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