Gli istanti del ricordo. Memoria e afasia in Proust e Bergson by stefano Poggi

Gli istanti del ricordo. Memoria e afasia in Proust e Bergson by stefano Poggi

autore:stefano Poggi [Poggi, stefano]
La lingua: ita
Format: epub, mobi
Tags: archivio ladri di biblioteche
pubblicato: 2014-01-04T23:00:00+00:00


7. Afasia e schemi motori

E' evidente l’importanza che per Bergson vengono ad assumere i risultati della ricerca psicopatologica e neurologica intorno ai processi della memoria. Abbiamo potuto già constatare che affrontare il problema dello scarto tra il tempo come durata reale dell’«io fondamentale» e il tempo come successione dell’«io convenzionale» significa per Bergson esaminare i modi della «rifrazione» dell’io, i modi in cui la coscienza connette tra di loro, grazie alla memoria, le immagini istantanee la cui successione costituisce la realtà. In linea di principio, il dispiegarsi della memoria non può non essere considerato consustanziale al tempo reale della durata e pare quindi potere essere oggetto della introspezione coscienziale. Di fatto, però, è inevitabile il ricorso ai dati forniti dalla osservazione scientifico-naturale. E tra questi, tutta particolare è l’importanza assunta dai disturbi del linguaggio che la ricerca dell’epoca indica come afasie.

Bergson concentra la propria attenzione sul processo di audizione del linguaggio articolato e sulla sua patologia, ricca di esempi altamente chiarificatori (Bergson 1970, pp. 253 ss.). In primo luogo, egli sottolinea che «comprendere la parola... è innanzitutto riconoscerne il suono, poi ritrovarne il senso, infine spingerne più o meno lontano l’interpretazione: in breve, è passare per tutti i gradi dell’attenzione ed esercitare molteplici potenze successive della memoria»

(Bergson 1970, p. 253). In secondo luogo, Bergson attribuisce una importanza decisiva alle tesi della ricerca neurologica circa le «turbe della memoria uditiva delle parole» ed alla concomitanza così constatata tra l’«abolizione delle immagini verbali acustiche» e alcune gravi lesioni di determinate zone cerebrali. Preso atto dei risultati della ricerca psicopatologica e neurologica, Bergson si interroga quindi sulla effettiva fondatezza della tesi — all’epoca dominante — secondo cui il cervello è capace di «immagazzinare i ricordi», è un deposito di immagini.

Il caso della «sordità verbale» — quel caso cioè di afasia nel quale il paziente è in grado di udire dei suoni, ma è incapace di riconoscerne il senso — è quello cui Bergson dedica un’attenzione specifica. Chi è «verbalmente sordo» si trova nella stessa situazione di chi sente parlare una lingua a lui sconosciuta (Bergson 1970, pp. 254-255). Costui ascolta una serie di suoni, ma non è capace di discernere in essi alcunché di significativo.

Tuttavia — sostiene Bergson — il processo di apprensione di una lingua non è incentrato sul richiamo di ricordi uditivi da parte di impressioni uditive. Il processo è assai più graduale ed articolato. Le impressioni uditive, piuttosto, provocano l’organizzarsi di movimenti uditivi via via più precisi e articolati, che sono in grado di «scandire la frase ascoltata e di contraddistinguere le principali articolazioni» (Bergson 1970, p. 255). La ripetizione di questi movimenti ne favorisce ovviamente la precisione e la chiarezza: nella persona che ascolta, essi vengono a costituirsi come una riproduzione — quantomeno nelle grandi linee — dei movimenti della persona che parla. In sostanza: in noi si forma lo «schema motorio» della parola che abbiamo ascoltato. Questo «schema motorio» assicura la coordinazione tra le «tendenze motorie dei muscoli della voce» e le «impressioni dell’orecchio».

Ancor più calzante di quello



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