icerbox Erba Insegnare by Unknown

autore:Unknown
Format: epub

L’insegnante specchio

«Se sei mio studente, la tua vita mi riguarda. Non puoi essermi indifferente, o è meglio che io cambi mestiere.» Ginevra Fiori, prof di Arte, lo diceva sempre.

La Fiori non faceva sconti, a volte poteva sembrare anche poco empatica, ma era solo apparenza. Era appassionata, creativa. Non calava le nozioni dall’alto, ma faceva lavorare i suoi allievi perché se ne appropriassero. Mostrava manufatti di design, faceva creare opere per comprendere le tecniche dei grandi pittori. Era anche vicepreside.

Un anno, a settembre, al rientro dalle vacanze, rimasi stupito dal cambiamento radicale di Claudio, uno studente che aveva appena iniziato la seconda superiore.

Cerco le parole e non le trovo, quindi vado giù diretto: Claudio in quell’estate era diventato scemo. Ma scemo forte: prima dell’estate era un tenero ragazzetto pacioccone dagli occhi sgranati ed entusiasti, pronto a esaltarsi per qualsiasi cosa leggessi in classe. Ora quello sguardo era diventato tagliente, sprezzante. Era cinico, duro, disilluso dalla vita. E faceva lo scemo. Ma sempre, sempre, sempre; soprattutto quando era fuori luogo. Lui che l’anno prima aveva tutti otto, ora aveva smesso di studiare. Lui che in classe non fiatava, ora ridacchiava per niente, si distraeva, disturbava in continuazione.

«È l’età della stupidera, come diceva mia nonna!» mi lamentavo io con una collega, che mi dava ragione: «È diventato proprio un idiota».

Invece l’idiota ero io, che mi fermavo alla superficie, incapace di scavare dietro quella sua maschera. Pensavo fosse cambiato: mi sbagliavo clamorosamente. Claudio era sempre Claudio: il suo comportamento era solo il sintomo di un disagio molto profondo.

Lo capii un giorno in cui Claudio andò davvero oltre ogni limite. Ero appena entrato in classe quando una scarpa volò verso di me, mi sfiorò la faccia e si schiantò sul muro alle mie spalle. La scarpa di Claudio. L’aveva scagliata a un compagno, che con uno movimento felino l’aveva evitata.

Reagii d’istinto, da insegnante granitico. «Fuori! Non siamo all’asilo! Siamo in seconda superiore! Vergognati!»

Claudio non reagì. Raccolse la sua scarpa e uscì a testa bassa. Baldanza e durezza erano sparite dal suo sguardo: restava solo una tristezza infinita.

Rimase in corridoio. Pochi minuti dopo passò la Fiori. Fu lei a raccontarmi il dialogo che si svolse tra loro.

«Cosa sta succedendo?» Non gli chiese Cosa hai fatto? o Perché sei fuori? Gli chiese Cosa sta succedendo? Non qual era la sua colpa, ma a che punto era il suo cammino, dove aveva smarrito la strada.

Claudio lo spavaldo, Claudio lo scemo, si mise a piangere come un bambino spaventato. «Mio padre è malato. È stato male quest’estate. Lo abbiamo scoperto all’improvviso, a luglio. Ha pochi mesi di vita.» Raccontò che il padre ormai era a casa, che le cure erano solo palliative, che passava tutto il giorno sul letto o sul divano. Per Claudio vederlo così era un tormento indicibile.

Io che pensavo che Claudio avesse la stupidera, che fosse solo un ragazzo superficiale, quando scoprii che il suo atteggiamento era uno straziante grido di dolore avrei voluto sprofondare.

Cosa gli avrei detto, se fossi stato al posto della Fiori? Come mi sarei comportato? Me lo sono chiesto e non ho mai trovato una risposta.

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