icerbox Fortunato tre by Unknown

autore:Unknown
Format: epub

Il 1989 fu l’anno di Camere separate, l’ultimo romanzo di Pier, e della caduta del Muro a Berlino. Il libro uscì in primavera, il Muro venne giù in autunno. In quell’arco di tempo, si consumò il nostro primo vero litigio. Filippo si adoperò per smussare gli angoli e riportare la pace, ma Pier e io eravamo due ossi duri e ci vollero mesi e pazienza perché le cose tornassero a essere come prima.

Del libro, sapevo poco. Pier aveva cominciato a scriverlo in Francia, a casa di François Wahl, il suo editore d’oltralpe, un uomo geniale e a dir poco distratto (ricordo che, quando lo conobbi, portava un solo calzino: nella fretta di uscire di casa, si scusò, l’altro aveva dimenticato di infilarselo). Una volta Pier mi aveva letto al telefono qualche pagina della nuova fatica: osservai che il tono mi sembrava totalmente diverso dai precedenti lavori. Ridacchiò e disse che era così diverso da avergli provocato un vero e proprio blocco, dopo la prima parte: quel tono era necessario alla storia, ne costituiva anzi l’incarnazione – si espresse così – e forse per questo faticava più del previsto a tenerlo costante, come un tema musicale le cui varianti dovessero di continuo rielaborare il motivo di fondo, senza però disperderne intensità e ritmo. L’ispirazione veniva da certe composizioni minimali di Philip Glass e soprattutto di Arvo Pärt, due musicisti che Filippo si era incaricato di farci scoprire nella loro mistica esattezza.

Ma non escludo che, oltre alle difficoltà di composizione, il testo andasse a rilento anche a causa dell’irrequieta generosità che era propria del suo autore. Da qualche tempo, quasi a corollario dell’esperienza con gli under 25, Pier aveva in mente una rivista che desse voce alla generazione di scrittori di cui entrambi facevamo parte: quella rivista sarebbe nata all’inizio del 1990 con il nome di Panta, suggerito da Moravia. In passato, ho scritto che “la creazione di Panta è stata forse l’ultima impresa culturale collettiva degna di nota nel panorama italiano di fine Millennio”. Oggi, toglierei il forse: Panta diede contenuto e forma a quel gruppo di narratori che, non solo in Italia, stavano restituendo alla letteratura lo statuto gnoseologico che le avanguardie degli anni sessanta e settanta del secolo scorso le avevano sottratto, postulando un’ideologica indistinzione fra cultura alta e bassa, e finendo paradossalmente col praticare uno sperimentalismo non di rado stucchevole. Fu un’operazione di fiducia nei propri mezzi espressivi e di apertura al mondo, ma io non lo compresi del tutto e ne rimasi fuori.

Dopo le prime riunioni a Roma, con Elisabetta Sgarbi, Elisabetta Rasy e Alain Elkann, mi eclissai. Non dissi niente agli altri, ma a Pier spiegai che avrei voluto coinvolgere anche Daniele Del Giudice e qualche scrittore che faceva capo, come me, alla casa editrice Einaudi: non essendoci riuscito, mi ritenevo inutile per il progetto. Per lui fu una delusione: avevamo chiacchierato tante volte della rivista, di quali argomenti affrontare e chi far scrivere, ci eravamo preoccupati di pensare a ogni dettaglio grafico e di contenuto

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