icerbox Hlden PlayList by Unknown

autore:Unknown
Format: epub

Tratto da: Juan Rulfo, La pianura in fiamme, tr. it. di Maria Nicola, Einaudi, Torino 2010.

Ci muoviamo in una terra dove l’unica esistenza possibile è fatta, scandita e decisa dai suoi elementi primordiali. La settimana scorsa è morta mia zia Jacinta, e sabato, quando l’avevamo già seppellita e incominciava a passarci la tristezza, incominciò a piovere più che mai. Il lutto, la quotidianità cui tornare e subito l’acquazzone che forse profana il cadavere della zia e che senz’altro non dà scampo ai vivi che, da sotto la tettoia, guardano l’acqua fredda che … bruciava quell’orzo giallo.

Bruciava, sì. Quel verbo non è un errore. Perché in una terra di elementi primordiali, e distruttivi come piaghe del Vecchio Testamento, l’acqua può farsi fuoco e bruciare – soprattutto se questa terra è il Messico di Juan Rulfo. La stessa terra, l’unica, dove lo scrittore messicano classe 1918 ambienta questo e gli altri racconti di La pianura in fiamme, il leggendario Pedro P áramo, e insomma tutto ciò che di scritto rimane della sua vita di cantastorie che ascolta le voci che lo circondano e riesce a restituirle come fossero una sola. Poche centinaia di pagine, in eff etti, ma a dirla con un grandissimo che lo venerava, Gabriel García Márquez, queste pagine sono quasi tante quanto quelle che conosciamo di Sofocle, e come quelle, credo, senza tempo.

Ci muoviamo nel Messico di Rulfo, dunque, una terra toccata infinite volte dalle fiamme, inaridita dalla siccità, riarsa da lotte e rivoluzioni sanguinose. Ed è proprio questo Messico post-rivoluzionario la filigrana dei drammi riprodotti su carta da Rulfo, i suoi ritratti di gente semplice e prostrata. Qui va tutto di male in peggio, dichiara nell’incipit il bambino che racconta, come avesse già imparato una lezione fondamentale di questa terra: non c’è scampo. E infatti si comincia con l’acquazzone e poi il fiume incominciò a crescere.

È di notte, peraltro, che il cantastorie ascolta il frastuono del fiume che, ingrossandosi, si trascina, ma nel raccontarcelo non muove all’acqua l’accusa di sorprendere gli umani nel sonno. L’acqua si accanisce, forse, ma non premedita né si pente, è l’inesorabile della legge naturale, e difatti al risveglio il rumore della piena non è scemato, casomai è più frastornante, e nell’aria c’è l’odore di marcio dell’acqua rimescolata che si può fiutare, sentire, come si sente un incendio. Acqua e fuoco, di nuovo. E, di nuovo, in questo spicchio di mondo acqua e fuoco si fondono e l'esistenza diviene un perenne limbo tra la ferocia del risveglio e l’incanto rassegnato del sonno.

L’esondazione impartisce al bambino un’altra lezione: noi umani siamo minuscoli e impotenti nell’enormità degli spazi e delle cose di natura. Perché magari possiamo industriarci a tirar su dighe e argini, se non siamo del tutto sprovvisti di forze e strumenti e materiali, ma a un certo punto non resta più niente da fare. Poveri, si può solo contemplare l’acqua che ricopre ogni cosa e contare i danni: la casa della Tambora, il tamarindo di zia Jacinta e la Serpentina, quella vacca che era

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