icerbox Orwell capolavori by Unknown

autore:Unknown
Format: epub
pubblicato: 2021-01-06T16:00:00+00:00

VI.

Nel frattempo continuavamo coi soliti compiti quotidiani, e più precisamente notturni. Turni di sentinella, pattuglie, scavi; fango, pioggia, vento sibilante e sporadiche nevicate. Solo ad aprile inoltrato le notti iniziarono a diventare decisamente più calde. Lassù sull’altopiano le giornate erano simili a quelle di un marzo inglese, con il cielo azzurro terso e il vento che non dà tregua. L’orzo invernale era alto fin quasi alle ginocchia, sui ciliegi prendevano forma dei boccioli cremisi (la prima linea qui correva attraverso orti e frutteti abbandonati), e se cercavi nei fossati potevi trovare le violette e un tipo di giacinto selvatico simile a un brutto esemplare di campanula. Proprio dietro alla prima linea scorreva un meraviglioso ruscello, verde e gorgogliante, la prima acqua limpida che vedevo da quando ero giunto al fronte. Un giorno strinsi i denti e scivolai nel fiume per fare il mio primo bagno dopo sei settimane. Fu quello che si potrebbe definire un bagnetto, visto che l’acqua era più che altro neve sciolta e non molto al di sopra del punto di congelamento.

Nel frattempo non succedeva nulla, non succedeva mai nulla. Gli inglesi avevano preso l’abitudine di dire che questa non era una guerra ma una dannata pantomima. Raramente finivamo sotto il fuoco diretto dei fascisti. L’unico pericolo erano le pallottole vaganti che, considerato che le linee del fronte curvavano in avanti su entrambi i lati, arrivavano da diverse direzioni. Tutti i feriti di quel periodo furono causati dalle vaganti. Arthur Clinton fu colpito da una pallottola misteriosa che gli fracassò la spalla sinistra e lo rese invalido a un braccio, temo in maniera permanente. C’era qualche bombardamento, ma decisamente poco efficace. Il sibilo e lo schianto delle bombe era in realtà considerato come una blanda distrazione. I fascisti non lanciarono mai alcuna bomba sui nostri parapetti. Alcune centinaia di metri dietro di noi c’era una fattoria, chiamata La Granja, con grandi edifici agricoli che venivano usati come magazzino, quartier generale e cucina da campo per questo settore del fronte. Era quello l’obiettivo sul quale puntavano i cannonieri fascisti, ma erano distanti sei o sette chilometri e non miravano mai abbastanza bene da procurare danni seri, oltre a rompere le finestre e scheggiare le mura. Eri in pericolo soltanto se ti ritrovavi per strada quando iniziavano a far fuoco, e le bombe precipitavano nei campi su entrambi i lati. Si imparava quasi subito l’arte misteriosa del riconoscere, dal suono, a che distanza sarebbe caduta la bomba. Le granate che i fascisti sparavano in questo periodo erano tremendamente scadenti. Sebbene fossero da 150 mm lasciavano solo un cratere largo circa due metri e profondo uno, e almeno una su quattro non esplodeva neanche. Giravano delle storie romantiche sul sabotaggio delle fabbriche fasciste e sulle granate inesplose nelle quali, invece della carica, veniva trovato un pezzo di carta con scritto FRONTE ROSSO, ma personalmente non ne ho visto mai uno. La verità era che le granate erano troppo vecchie; qualcuno aveva raccolto una spoletta d’ottone su cui c’era la data del 1917.

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