Idi di marzo by Valerio Massimo Manfredi

Idi di marzo by Valerio Massimo Manfredi

autore:Valerio Massimo Manfredi
La lingua: ita
Format: azw3, mobi, epub
pubblicato: 2016-04-19T22:00:00+00:00


In via Flaminia minore, Cauponae ad sandalum Herculis, a.d. IV Id. Mart., ad initium tertiae vigiliae

Via Flaminia minore, osteria “al sandalo di Ercole”, 12 marzo, inizio del terzo turno di guardia, dopo mezzanotte

Il cavaliere arrivò ad andatura sostenuta lungo la strada innevata. Era intirizzito dal freddo. A fianco della via si apriva una vasta radura con un edificio di sasso e le tegole di lastre di ardesia preceduto da un muro quadrato che delimitava il cortile. A destra, una bassa tettoia di legno e una lettiera di paglia offrivano riparo a cavalli e bestie da soma. Sopra l’ingresso principale pendeva un’insegna con un grande sandalo che dava il nome all’osteria. Il luogo sembrava deserto. L’uomo smontò da cavallo e passò sotto la torcia che illuminava l’ingresso mostrando il volto scavato e la barba irsuta di Publio Sestio detto “il bastone”. Tese l’orecchio: dall’interno del cortile provenivano rumori, voci sommesse.

Publio Sestio legò il cavallo a un anello di ferro che pendeva dal muro e poi batté sul portone con l’impugnatura della spada, una, due, tre volte senza ottenere risposta; ma la porta si aprì e poté vedere all’interno un capannello di persone con delle lucerne in mano riunite attorno a qualcosa nei pressi della stalla. Quando si avvicinò notò che un rivolo di sangue raggrumato passava fra le loro gambe e macchiava di rosso lo strato di neve che copriva il terreno.

Publio Sestio si fece strada nel piccolo assembramento e si trovò di fronte il corpo di un uomo, prono e immobile con la faccia nel fimo, con una larga ferita alla nuca da cui continuava a colare sangue scuro e fumante. Era coperto da una veste di lana grigia lacerata in più punti anch’essi macchiati di sangue rappreso. Ferite sulle braccia e sulle mani indicavano che si era difeso come un leone.

Come colto da un cupo presentimento, Publio Sestio si avvicinò e si inginocchiò davanti al corpo inerte e rigido, fece cenno a uno degli astanti di accostare una lucerna e lo rivoltò.

Era lo scaricatore. Com’era giunto prima di lui? Certo per scorciatoie che solo lui conosceva e che l’avevano condotto giusto in tempo all’appuntamento con la morte.

Le sue mani grandi come badili mostravano i palmi callosi, le sopracciglia erano unite in mezzo alla fronte; la barba ispida, le spalle da lottatore non lasciavano dubbi sulla sua identità. Ora era solo una povera cosa inerte.

Publio Sestio sentì la collera gonfiargli le vene del collo e accelerargli i battiti del cuore. Si volse agli astanti e, ruotando il busto, si erse in tutta la sua massiccia imponenza stringendo nel pugno il bastone di vite, lucido e nodoso:

«Chi è stato?» ringhiò.

Si fece avanti un uomo timido e pingue, dagli occhi acquosi: sicuramente l’oste.

«Due tizi sono arrivati tre ore fa da meridione. Hanno fatto governare i cavalli e stavano per ripartire quando è arrivato quest’uomo che ha abbeverato il suo cavallo e ha chiesto di dargli biada e orzo. Per sé ha ordinato qualcosa da mangiare nella stalla perché sarebbe ripartito subito. Mi



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