Il canto di Calliope by Natalie Haynes

Il canto di Calliope by Natalie Haynes

autore:Natalie Haynes [Haynes, Natalie]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Sonzogno
pubblicato: 2020-12-23T08:37:09+00:00


* * *

Essendoci di mezzo suo marito, anche questa volta i suoi doni profetici si rivelarono fallaci. Così venne a sapere della ferita di Paride solo quando lui attraversò barcollando il bosco fuori dalla sua capanna e stramazzò a terra con un grido.

«Enone» urlò. «Ti supplico.»

Sentendo chiamare il proprio nome, in un primo momento Enone credette di averlo immaginato. Erano dieci anni che nessuno la chiamava per nome. Il figlio la chiamava «mamma», quando non era in giro sulle montagne con il suo amato gregge. Il dio del fiume, Cebreno, la chiamava «figlia». Le altre ninfe si rivolgevano a lei con il suo nome, ma da anni aveva rinunciato alla loro compagnia, incapace di sopportare la vergogna di essere stata respinta dal marito mortale. Quindi pensò di avere confuso quel grido con il richiamo di un uccello, come le era accaduto tante volte dopo che Paride se n’era andato. Ma poi lo udì di nuovo.

«Enone, ti prego. Ti prego, aiutami.»

Questa volta non si sbagliava. Era sicura di aver sentito il proprio nome, e sapeva chi l’aveva pronunciato. Si precipitò nella direzione della voce e vide qualcosa che aveva sognato migliaia di volte, prima con paura e poi con rabbia. Quando il loro amore era appena sbocciato, detestava che Paride rimanesse lontano a lungo. Si preoccupava che potesse essere azzannato da un cinghiale di montagna, oppure aggredito dai lupi. Non faceva che immaginarlo disteso davanti a lei, ferito a morte, e ci sarebbero voluti tutti i suoi poteri taumaturgici per strapparlo alle avide fauci di Ade. Nelle lunghe ore della notte, ripeteva a se stessa che quello era il prezzo da pagare, quando si amava un mortale: il rischio onnipresente della morte. Quando invece lui se n’era andato, e lei si era resa conto – troppo tardi per la propria dignità – che non sarebbe mai più tornato, aveva iniziato a immaginare quella scena in modo diverso: Paride arrivava strisciando tra gli aghi di pino che circondavano la sua casa, implorando aiuto. La reazione di lei variava: a volte gli permetteva con magnanimità di chiedere perdono e salvarsi la vita; altre volte lo osservava, impassibile, esalare l’ultimo respiro dalla perfida gola.

Ora il suo sogno le stava davanti. Paride aveva ancora i capelli lucidi sulla fronte, ma erano zuppi di sudore. Il suo bel volto era solcato da rughe di dolore, e il suo colorito – un tempo della stessa sfumatura bronzea di suo figlio – era pallido e grigiastro. Era caduto in avanti, e la testa gli era finita sulle braccia. La gamba sinistra era piegata goffamente, e vide del sangue scuro filtrare attraverso la stoffa che aveva usato per legarsi la ferita. Aveva il respiro irregolare, e gli ci volle uno sforzo enorme per trovare la forza di parlare.

«Enone, sto morendo. Senza di te, morirò.»

Lei guardò l’uomo che giaceva ai suoi piedi, e si domandò come avesse fatto un tempo ad amarlo. Era così fragile. Così umano. C’era qualcosa di sgradevole nei mortali, di cui gli dèi non parlavano mai, perché sapevano tutti che cos’era.



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