Il Caso o la Speranza_ Un dibattito senza diplomazia (2013) by Vito Mancuso Paolo Flores D'Arcais

Il Caso o la Speranza_ Un dibattito senza diplomazia (2013) by Vito Mancuso Paolo Flores D'Arcais

autore:Vito Mancuso Paolo Flores D'Arcais [Paolo Flores D'Arcais, Vito Mancuso]
La lingua: ita
Format: mobi, azw3
editore: Garzanti
pubblicato: 2015-02-24T23:00:00+00:00


POST SCRIPTUM

Paolo Flores D’Arcais

Caro Vito, le discussioni tra filosofi oggi sono rare, troppo rare. Molti filosofi, troppi filosofi, non solo preferiscono – come è ovvio – il saggio/monologo, nel quale l’autore ricostruisce a modo suo le possibili obiezioni al proprio pensiero (e con un tasso di penchant «pro domo sua» quasi sempre inevitabile, anche quando massima è la volontà di non trascurarne o inzuccherarne alcuna), ma si attrezzano positivamente per sottrarsi alla difficoltà del confronto diretto, argomentazione e controargomentazione, che riduce il margine di protezione ad hoc delle proprie tesi.

Dunque questa discussione è preziosa. D’altro canto, lascia sempre perplessi una discussione che non si concluda come nei dialoghi platonici, dove uno dei contendenti riconosce, passo dopo passo, la validità della tesi opposta. Eppure una discussione razionale dovrebbe concludersi proprio così (o con l’accordo di entrambi su una tesi terza). Mentre, anche nelle rarissime «philosophicae disputationes» di oggi, e malgrado entrambi i contendenti vivano come inderogabile il dovere dell’argomentazione razionale e dell’onestà intellettuale, ciascuno alla fine quasi sempre rimane abbarbicato alla propria opinione. Di modo che è la stessa plausibilità della discussione razionale che viene revocata in dubbio, e sembrerebbe che la situazione invalicabile resti qui la stessa che Kant denunciava come viziosa impasse della metafisica (e da cui riteneva improcrastinabile uscire) quella di «un semplice brancolare», di «un campo di battaglia […] destinato a esercitare le forze dei partecipanti in un combattimento fittizio» (Critica della ragion pura, Einaudi, 1957, p. 22).

Rispetto all’esistenza di Dio, infatti (analogamente per l’anima immortale), dovrebbe essere dimostrabile (e dunque riconosciuta da entrambi) una delle seguenti posizioni: Dio esiste, Dio non esiste, è impossibile decidere razionalmente se esista o meno, è impossibile dimostrare in modo conclusivo il sì o il no, ma una mole di argomenti rende più probabile il sì, rende più probabile il no, o infine si equivalgono talmente che tanto vale scommettere. Questo attenendosi agli argomenti razionali. La pura fede ovviamente è altra cosa.

Oppure potremmo arrivare alla comune conclusione che la discussione è insensata, ma sarebbe una variante della dimostrazione positiva che è impossibile una soluzione puramente razionale, e che essa lascia aperte entrambe le soluzioni, entrambe fideistiche, da giocarsi ai dadi. In tal caso si aprirebbe la possibilità di muovere a questo Dio equiprobabile l’accusa di essere inguaribilmente sadico, visto che si trastullerebbe con la sua creatura proprio sul tema da cui dipende la felicità eterna o un eterno pianto e stridore di denti. Ma sarebbe un ulteriore discorso. Tu e io crediamo nella forza dell’argomentazione razionale, consideriamo parte essenziale del nostro vissuto la disponibilità a modificare il nostro punto di vista di fronte al peso degli argomenti critici. Perché, allora, siamo rimasti entrambi esattamente sulle rispettive posizioni di partenza? Cosa ci ha resi catafratti alle argomentazioni che le contestavano? Forse perché un gorgo emotivo o un nodo magari inconscio fa comunque premio per qualsiasi Homo sapiens sulla capacità di ragionare? Ma allora, razionalmente, dovremmo riconoscere l’inanità di qualsiasi disputa razionale, e razionalmente rassegnarci al mero clash fra volontà di potenza, di cui le «argomentazioni razionali» sarebbero solo il retorico travestimento.



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