Il figlio della notte by Jack Williams

Il figlio della notte by Jack Williams

autore:Jack Williams
La lingua: it
Format: mobi
Tags: urania, Fantascienza, narrativa
editore: bandinotto
pubblicato: 2012-03-10T23:46:41+00:00


11.

Tornò in redazione: non c'era altro da fare. Aveva deciso di non pensare più ad April Bell, e di cercare sollievo a tutte le crudeli perplessità che uscivano dalle ombre della sua mente a tormentarlo coi suoi antichi rimedi: lavoro sodo e whisky puro.

Riprese la cartella Walraven e batté d'un fiato un articolo sulle durezze patite nell'infanzia dal «Primo Cittadino di Clarendon», bellamente giran-do intorno ai fatti sordidi che bisognava omettere. Uscì poi per assistere a un comizio di cittadini indignati al grido di «Fermiamo Walraven!» e assunse un tono di garbata e signorile ironia per descriverlo nel modo in cui Grady diceva che Troy lo voleva scritto: come una riunione cioè di genta-glia prezzolata da inconfessabili interessi.

Aveva paura di tornare a casa.

Cercò di non pensare alle ragioni per cui aveva paura, ma indugiò in cronaca fino alla chiusura della terza edizione, e infine si fermò a bere qualche bicchierino con alcuni colleghi nel bar di fronte al giornale.

In realtà, aveva paura di andare a letto. Mezzanotte era passata da un pezzo e lui trasudava whisky e stanchezza quando attraversò in punta di piedi l'anticamera scricchiolante della tetra casetta di Bread Street e salì nel suo appartamentino. Sentì a un tratto di odiare con rinnovato vigore quella casa dall'odore stantio, le tappezzerie sbiadite, i mobili brutti e miseri; di odiare il suo posto allo Star e le ciniche menzogne del suo articolo su Walraven; di odiare Preston Troy, e April Bell, e se stesso.

Stanco, solo e amareggiato, lo colse una gran pietà nei propri confronti.

Non se la sentiva di scrivere tutte quelle immonde banalità che Troy esige-va dalla sua capacità di giornalista, e insieme non aveva il coraggio di piantare baracca e burattini. Era stato Mondrick che aveva distrutto la sua fiducia in se stesso, il suo orgoglio e il suo entusiasmo, anni prima, quando il rude scienziato aveva bruscamente spezzato la sua carriera di antropologo, senza volergliene dire la ragione. O tutto questo non era che un inutile piagnisteo, e il suo fallimento doveva essere attribuito solo alla sua incapacità? A ogni modo, la sua vita era ormai rovinata, distrutta. Non vedeva nessun avvenire davanti a sé... e aveva paura di coricarsi. Girellò per la stanza da bagno, e bevve ancora dalla bottiglia una lunga sorsata di whisky. Con la vaga speranza che potesse dargli una spiegazione plausibi-le del suo sogno, prese uno dei suoi vecchi libri di testo dallo scaffale e cercò di leggere il capitolo sulla licantropia.

Il libro elencava le credenze primitive, stranamente universali, sulla possibilità da parte degli esseri umani di tramutarsi in pericolosi animali car-nivori.

Scorse rapidamente la lista dei Lupi Mannari, orsi e giaguari umani, tigri, alligatori, squali, gatti umani, leopardi umani, e iene umane. Le tigri mannare della Malesia, lesse, erano considerate invulnerabili nella loro metamorfosi; ma il linguaggio prudente, obiettivo, dell'autorevole accade-mico che aveva scritto l'opera appariva arido e monotono a paragone della realtà del suo sogno. Gli occhi cominciarono a bruciargli dolorosamente.

Mise il libro da parte e se ne andò riluttante a letto.



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