Il gattolico praticante. Esercizi di devozione felina by Alberto Mattioli

Il gattolico praticante. Esercizi di devozione felina by Alberto Mattioli

autore:Alberto Mattioli [Mattioli, Alberto]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Nature, Animal Rights, Pets, Cats, General
ISBN: 9788811812623
Google: NtRrzQEACAAJ
editore: Garzanti
pubblicato: 2020-12-15T16:52:56+00:00


VIII. SOCIAL GATTI(NO)

È chiaro che prima o poi i gatti conquisteranno il mondo, specie nel caso che l’auspicata estinzione della razza umana preceda e non segua la devastazione del pianeta che essa stessa sta perpetrando. In attesa di colonizzare il mondo reale, i gatti hanno già preso possesso di quello virtuale. La nuova frontiera del potere gatto è Internet, il suo feudo i social network.

Facebook, Instagram, Twitter: chiunque li frequenti, cioè chiunque esista virtualmente, cioè chiunque esista tout court, visto che ormai l’unica vita reale è quella virtuale, sa che nulla acchiappa like come il gattino. Il gattino è la calamita irresistibile, il gattino, specie se tenero o buffo o tutti e due insieme, è cliccatissimo, il gattino è re. Chiunque abbia un gatto sa che postarne le foto è un metodo infallibile per ottenere visibilità. Certo, nell’estate del 2018, il «New York Times» ha sì certificato la rivincita dei cani sui gattini, ma al momento si tratta solo di una ripresa, di una riduzione del distacco. Il gattino resta saldo al primo posto nella collezione di pollici alzati e cuoricini. Meme, foto e video: tutto fa gattino.

Del fenomeno sono state date molte spiegazioni, nessuna, a mio modo di vedere, definitiva ennesima conferma che tutto ciò che è legato al gatto comporta un margine di imponderabile e di misterioso, se non di mistico. Già l’uso del termine «gattini» è sintomatico. Nessuno si sognerebbe di dire «canini»: a parte possibile confusioni con i denti, il diminutivo potrebbe magari funzionare con quegli orrendi cagnetti da borsetta (una variante infiocchettata e petulante del topo, a detta della mia gatta Isolde che rimpiange di non poterli sbranare), di certo non con un alano di cinquanta chili. Ma poi, benché il gatto sia un predatore robustissimo, longevo e tosto, con l’aggiunta di una disponibilità di sette o di nove vite (il numero esatto varia da proverbio a Paese), sui social si metamorfosizza in un essere di commovente fragilità, tutto occhioni sbattuti e tenerezza, più indifeso di un bambino di Dickens prima di subire le angherie che tanto piacevano ai suoi lettori e tanto fecero guadagnare lui.

Infatti c’è chi sostiene, per esempio un articolo del «New Republic», che i gatti abbiano tratti somatici in comune con i bambini umani, tipo appunto gli occhi grandi o il naso piccolo, e questo faccia scattare l’identificazione. Al contrario, c’è chi ribatte che siano proprio alcune peculiari «abilità» del gatto precluse a noi bestie a due zampe a rendercelo simpatico, magari con una punta di invidia. Come la sua prodigiosa agilità, l’abilità nel salto e nella caccia, la capacità di fluttuare nell’aria che tanto avrebbero fatto comodo ai nostri progenitori cacciatori e magari anche a noi (fluttuare dall’ufficio, in effetti, non sarebbe male…).

Certo, il gatto «in verità, fa tutto ben quello ch’ei fa», come Cherubino secondo Susanna (e Da Ponte), ma forse questo non basta a spiegarne il successo. Si può allora, come «Forbes», teorizzare che l’uomo esorcizzi a forza di gattini buffi l’origine mitologica del divino felino, la sua aura mistica che ancora permane sommersa in qualche remota profondità del nostro inconscio.



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