Il gattopardo by Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Il gattopardo by Giuseppe Tomasi di Lampedusa

autore:Giuseppe Tomasi di Lampedusa
La lingua: it
Format: mobi, epub
pubblicato: 2012-04-23T12:29:07+00:00


PARTE QUINTA

Febbraio 1861

I natali di Padre Pirrone erano rustici: era nato infatti a S. Cono, un paese piccino piccino che adesso, in grazia degli autobus, è quasi una delle stie-satelliti di Palermo ma che un secolo fa apparteneva, per così dire, a un sistema planetario a sé stante, lontano com’era quattro o cinque ore-carretto dal sole palermitano.

Il padre del nostro Gesuita era stato “soprastante” di due feudi che l’Abbazia di S. Eleuterio si lusingava di possedere nel territorio di S. Cono. Mestiere questo di “soprastante” assai pericoloso, allora, per la salute dell’anima e per quella del corpo perché costringeva a frequentazioni strane ed alla cognizione di vari aneddoti il cui accumularsi cagionava una infermità che “di botto” (è la parola esatta) faceva cadere l’infermo stecchito ai piedi di qualche muricciuolo, con tutte le sue storielle sigillate nella pancia, irrecuperabili ormai alla curiosità degli sfaccendati. Però, don Gaetano, il genitore di Padre Pirrone, era riuscito a sfuggire a questa malattia professionale mercé una rigorosa igiene basata sulla discrezione e su un avveduto impiego di rimedi preventivi; ed era morto Pacificamente di polmonite una soleggiata Domenica di febbraio sonora di venti che sfogliavano i fiori dei mandorli. Egli lasciava la vedova e i tre figli (due ragazze e il sacerdote) in Indizioni economiche relativamente buone; da quel sagace uomo che era stato aveva saputo fare delle economie sullo stipendio incredibilmente esiguo pagategli dall’Abbazia, e, al momento del proprio transito possedeva alcune piante di mandorlo in fondo valle, qualche cespo di vite sui pendii e un po’ di pietroso pascolo più in alto; roba da poveretti, si sa; sufficiente però a conferire un certo peso nella depressa economia sanconetana; era anche proprietario di una casetta rigorosamente cubica, azzurra fuori e bianca dentro, quattro stanze sotto e quattro sopra, proprio all’ingresso del paese dalla parte di Palermo.

Padre Pirrone si era allontanato da quella casa a sedici anni quando i suoi successi alla scuola parrocchiale e la benevolenza dell’Abbate Mitrato di S. Eleuterio lo avevano incamminato verso il seminario arcivescovile, ma, a distanza di anni, vi era ritornato più volte o per benedire le nozze delle sorelle o per dare una (mondanamente, s’intende) superflua assoluzione a don Gaetano morente e vi ritornava adesso, sul finire del Febbraio 1861, per il quindicesimo anniversario della morte del padre; ed era una giornata ventosa e limpida, proprio come era stata quella.

Erano state cinque ore di scossoni, con i piedi penzoloni dietro la coda del cavallo; ma, una volta sormontata la nausea causata dalle pitture patriottiche dipinte di fresco sui pannelli del carretto e che culminavano nella retorica raffigurazione di un Garibaldi color di fiamma a braccetto di una Santa Rosalia color di mare, erano state cinque ore piacevoli. La vallata che sale da Palermo a S. Cono riunisce in sé il paesaggio fastoso della zona costiera e quello inesorabile dell’interno, ed è percorsa da folate di vento improvvise che ne rendono salubre l’aria e che erano famose per esser capaci di sviare la traiettoria delle pallottole meglio premeditate, sicché i tiratori posti di fronte a problemi balistici ardui preferivano esercitarsi altrove.



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