Il guerriero di porcellana by Mathias Malzieu

Il guerriero di porcellana by Mathias Malzieu

autore:Mathias Malzieu [Malzieu, Mathias]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Feltrinelli Editore
pubblicato: 2023-06-01T10:36:18+00:00


La Frohmühle, 11 settembre 1944

Stamani la zia Louise mi attacca fin dalla colazione. Tu non volevi che ti parlassimo prima che avessi bevuto il caffè, ecco, per me è lo stesso con la tazza di latte. Sono come un gatto che vogliono accarezzare mentre mangia.

Soffia e via discorrendo.

“Sai che Dio ha creato il mondo in sei giorni? Ma se si fosse preso tutto il tempo che ci metti tu a bere una tazza di latte, saremmo ancora nel Medioevo.”

Credo che cerchi di fare dell’umorismo, così provo a ridere. Quest’umorismo da vecchi è tremendo. Eppure, nonostante il retrogusto di ostia andata a male, avverto un moto di tenerezza.

“Arrivano!” dice la Nonna.

“Chi?” chiede l’Émile.

“I tedeschi. Vogliono le nostre galline. Mainou, silenzio assoluto, va’ a nasconderti…”

“In soffitta?”

“No! In cantina, nell’armadio, e se entrano, esci dalla porta segreta.”

“Forza!” dice l’Émile prendendomi per il braccio.

“Perché vogliono le nostre galline?”

“Dicono che abbiamo troppe galline, troppi maiali e troppi buoi. Si servono come se fossero a casa loro! ‘Razionamento,’ dicono con il loro accento da idioti.”

Non oso dirgli che non vedo grande differenza fra l’accento della Nonna quando parla in patois e quello tedesco. Ripeto le poche parole che ho imparato a memoria in caso di necessità: Hallo, Ich heisse Hans, “Buongiorno, mi chiamo (nome di fantasia) Hans”, e Danke, “Grazie”.

L’Émile apre piano piano la porta della cantina e mi sistema nell’armadio. Sul volto ha lo stesso sorriso di facciata della cugina nel carretto. Mi parla con gentilezza, scandisce con cura. Il dottor Godebout ti parlava così.

“Hanno preso la mia preferita, quella che canta in la minore quando fa le uova! Sembra Édith Piaf!” dice l’Émile imitando la succitata gallina.

Ha chiuso la porta facendo il suo occhiolino da zio amico e di colpo mi sono ritrovato al buio in pieno giorno. Ho dimenticato ancora una volta Marlene Dietrich in camera. Comincio a immaginarla ridotta a fette, con crema di porri. O infilzata: spiedini di cicogna marinati alla paprika. Mi mette fame e voglia di piangere insieme. Ne sento quasi l’odore e tutto il resto. Prendete Chtol e Maï, fatene uno stufato, ma Marlene, no!

Mi tranquillizzo pensando al suo alito di ceci putridi. La sua arma difensiva. Un po’ come il messale della zia Louise.

Il perilmomento si è allungato a tal punto che per poco ho dimenticato di essere in un armadio. Tutta questa notte solo per me e con solo una cosa da fare: aver paura… o sognare. Allora sogno profondamente. Qualcosa mi cresce fra il cuore e il cervello. Forse è un cantiere infinito, ma avanza. Io avanzo.

Ci sono campi da calcio rivestiti di erba intonata agli occhi di Papà. Biciclette, la primavera, un pallone da pallavolo con la sabbia appiccicata, la spiaggia come prima, granchi fra gli scogli, il mio peschereccio. La prua, la chiglia, il parapetto.

Qualcosa è più leggero. Il desiderio di raggiungere Montpellier senza di te fa bruciare gli occhi e il naso, ma a tratti riesco a separare il futuro dal passato. Soffrire un po’ meno mi fa ancora rabbrividire. Avanzo di due caselle e indietreggio di cinque.



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