Il linguaggio d'Italia by Giacomo Devoto

Il linguaggio d'Italia by Giacomo Devoto

autore:Giacomo Devoto [Devoto, Giacomo]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2012-04-19T09:34:12+00:00


Storia d’Italia Einaudi

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Giacomo Devoto - Il linguaggio d’Italia ma invece nella epurazione dai ladinismi per cui «cane»

si dice can e non piú «cian» (chian). Le circostanze esterne hanno agito subito dopo, modificando completamente l’area, in cui i modelli linguistici irradiavano da Venezia. A partire dalla metà del XV secolo Venezia diventa capitale dell’entroterra veneto, e i modelli linguistici ve-neziani si presentano in tutti i capoluoghi della regione come forniti di prestigio. Questo non è destinato a sog-giogare o distruggere ma costituisce come una coltre superiore, che si distende al di sopra, parzialmente unifor-mando e praticamente facilitando la reciproca comprensione. L’azione metropolitana di Venezia si continua ancora oggi a un secolo e mezzo dalla fine della repubblica veneta; e ancora oggi insidia tutte le aree dialettali, ivi compresa la udinese e la triestina. Ma anche senza proiettarsi ancora in un futuro cosí lontano, la tradizione linguistica veneziana guadagna non solo in estensione geografica ma anche in spessore sociale e stabilità; e nel XVI secolo raggiunge il livello di lingua della cancelleria (§

187).

179. Attenuazione nei dialetti

I primi focolai di una ricostruzione sopraregionale furono, al di fuori della Toscana, presso le corti e i centri di cultura che si erano andati formando intorno a quelle, a Ferrara Mantova Milano, come a Urbino e a Roma.

La base di partenza da cui bisogna partire per intendere la situazione, è il dato di fatto che si riferisce alla predi-cazione di S. Bernardino da Siena (1380-1444). Questi, nei primi decenni del XV secolo, predicava in volgare in Storia d’Italia Einaudi

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Giacomo Devoto - Il linguaggio d’Italia Toscana, mentre, nell’Italia settentrionale, si manteneva aderente, almeno nelle intenzioni, al latino446.

Fra i territori citati sopra, il primo a emergere dal grigiore dialettale è quello di Ferrara. Nella seconda metà del XV secolo, si legge nella prefazione alla Vita di Filippo Maria Visconti di P. C. Decembrio (1392-1477):

«non sapería io adriciare la lingua se non al ferrarese idioma», in cui si ha da una parte un condizionale aperto ai modelli siciliani, e cioè lontani, e nel tempo stesso un eccesso di zelo nel sostituire a una forma sia pure normale come addrizzare una correzione eccessivamente zelan-te, con una consonante palatale. Questo non esclude che in altri passi non appaiano resti di dialettismi fortemente palatalizzati o assibilati come in «non si metería li piedi in giesa (per ‘chiesa’)» oppure «l’arco che in cielo zase (per ‘giace’)».

Piú ancora che in testi corrispondenti a ambienti e autori piú coltivati, la azione delle corti e dei centri di cultura si manifesta nel riparare agli inconvenienti della lenizione e assibilazione che si verificano nei dialetti settentrionali e specialmente in Lombardia. Là dove in pieno medio evo si diceva créer vèova con la totale lenizione di D intervocalica (§ 157), ecco che oggi si ritrovano creDer, vèDova, ricostituiti attraverso un processo di adeguamento verso i modelli piú conservatori, che discende-vano dalle corti. Analogamente è da pensare che la tendenza alla assibilazione del tipo ce in çe fosse già avanzato nel medio evo, mentre ancora oggi si dice a Milano cent cinc per «cento» «cinque».



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