Il pallone di stoffa by Walter Pedullà

Il pallone di stoffa by Walter Pedullà

autore:Walter Pedullà [Pedullà, Walter]
La lingua: ita
Format: epub
editore: RIZZOLI LIBRI
pubblicato: 2020-09-09T12:00:00+00:00


Entra in scena Bettino Craxi

Furono un disastro per il PSI le elezioni del 1976. Il 9,60%: il risultato peggiore del dopoguerra. Crebbe molto il PCI, sul quale confluirono parecchi voti di socialisti paradossalmente convinti a farlo da Francesco De Martino quando annunciò che il PSI non sarebbe mai più andato al governo senza i comunisti. Fu costretto a dimettersi da un’alleanza fra gli ex demartiniani passati con Enrico Manca, la sinistra di Riccardo Lombardi e Claudio Signorile, il forte gruppo degli “autonomisti unitari” guidato da Giacomo Mancini e gli autonomisti “integralisti” di Bettino Craxi.

Partecipavo alle riunioni del vertice dei manciniani in quanto direttore delle edizioni Lerici. Ricordo quella decisiva in cui si doveva stabilire chi sarebbe stato il segretario del “nuovo corso”. Esclusi per l’età De Martino, Mancini e Lombardi, toccava a uno dei quarantenni: Manca, Signorile e Craxi. La candidatura di Signorile non resistette a lungo, anche se appariva la più qualificata ai fini della strategia dell’alternativa socialista con la quale il nuovo PSI contrastava la linea del compromesso storico fra PCI e DC. Restavano Manca e Craxi.

Manca non offriva garanzie di autonomia dal PCI, del quale era un interlocutore pressoché quotidiano e il suo recente passato demartiniano cancellava la rottura che il partito intendeva marcare verso i comunisti che gli avevano sottratto una fetta di elettorato. Tra i nenniani Craxi, già manciniano, era quello che aveva il difetto di essere un autonomista troppo anticomunista. Aveva però un punto di forza, che era la sua debolezza nel partito: la sua posizione nettamente minoritaria nel PSI non avrebbe impaurito il PCI.

Tra Manca e Signorile preferivo nettamente il lombardiano Signorile, ma tra Manca e Craxi il milanese aveva una più forte personalità, forse ingombrante e spericolata, la quale però attirava attenzione verso un Partito Socialista che sperimentava una strategia autonoma eppure ancora non anticomunista. L’anticomunismo, che in Craxi non era meno forte dell’antisocialismo di Berlinguer, sarebbe parso paradossale in un partito che proponeva l’alternativa socialista in funzione antidemocristiana.

L’alternativa non la volevano i socialisti, che non accettavano la sudditanza al PCI, e non la volevano i comunisti, che negli anni Settanta con più di un terzo di voti nazionali speravano di guidare l’alleanza con la DC più debole degli ultimi trent’anni. Il compromesso storico è stata la strategia vincente del trentennio successivo ma è tra le cause del declino di un Paese spinto a vivere al di sopra delle proprie possibilità. Invece di una più equa distribuzione della ricchezza, si distribuì agli esclusi una ricchezza che c’era solo aumentando il debito pubblico: quanto tu dai agli operai e ai professori, io lo darò ai contadini, agli impiegati e agli imprenditori che non pagano le tasse.

In quel voto tra i due non ho sbagliato, ma sulla linea che Craxi avrebbe indicato al PSI non potevo essere più in errore. Insieme al Muro di Berlino sarebbe crollato prima del Partito Comunista quello Socialista. Comunque non vorrei fare la parte della mosca che dice all’orecchio dell’elefante che corre: «Quanta polvere stiamo sollevando!». Ero ascoltato ma ero un eretico e pure privo di voti.



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