Il papa by Giorgio Saviane

Il papa by Giorgio Saviane

autore:Giorgio Saviane [Saviane, Giorgio]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Fiction, General
ISBN: 9788879837712
editore: Newton Compton Editori
pubblicato: 1995-11-29T23:00:00+00:00


Il vescovo non era andato in giardino. Si era fatto portare i giornali nello studio senza neppur scendere a fare colazione: leggeva il resoconto del processo.

Dalla finestra l’aria del mattino entrava a folate fresche. Lo impressionavano le parole del mostro. I più lo definivano un commediante. Ma un giornale avanzava il sospetto che il prete non avesse torto a voler recuperare quell’uomo, e concludeva che negare possibilità alla fede al di sopra del diritto e della normalità era un negare la ragione stessa delle religioni.

Le parole del mostro erano uguali in tutti i giornali: vere, accadute. Uscito don Claudio, spinto fuori dai carabinieri, l’imputato aveva gridato con la mano ancora tesa verso il sacerdote: «Mi perdoni. Io sono un mostro. Solo per lei sono stato un uomo». Aveva ritirato il braccio dentro la gabbia, e mordendosi le mani: «Un mostro», aveva soggiunto, «un mostro». Poi, abbandonando il capo e le braccia alle sbarre, aveva ripreso come tra sé: «se ogni minuto del mondo non generasse perdono, lui mi diceva, leggi e tribunali verrebbero polverizzati».

La folla che aveva fischiato il prete accoglieva in silenzio il soliloquio del mostro.

«Torniamo al processo», lo aveva interrotto il presidente.

«Questo è il processo», aveva esclamato uno dei difensori; «l’imputato deve parlare, ne ha diritto», rivelando così, osservavano gli altri giornali, che tutto era stato preparato dalla difesa.

Anche il pubblico ministero era intervenuto perché lo si lasciasse parlare. L’imputato si era però chiuso nel mutismo. Sembrava piangesse, aveva voltato la schiena all’aula. Solo dopo reiterati inviti si era deciso a rispondere alle domande che il pubblico ministero via via proponeva al presidente:

«Quando don Claudio aveva dato quel consiglio: subito? o dopo aver notato il suo ravvedimento?».

«Pochi giorni prima che mi arrestassero: mi aveva detto che era inutile ormai.»

«Perché?»

«Diceva che non ero più pericoloso.»

«Dunque era come sacerdote che lo aveva consigliato, in via generica, professionale, diciamo, inerente al suo ministero», insisteva il sostituto procuratore generale: sempre rivolto al giudice.

«Sì.»

«L’imputato aveva chiesto consiglio quale fedele», concludeva il pubblico ministero; «come cittadino era suo dovere regolarsi da solo, e non far risalire al confessore la responsabilità di un’azione contemplata dalle leggi dello stato diversamente dai principi cristiani del perdono.»

«La colpa è mia», aveva gridato il mostro. «Sapevo che don Claudio mi avrebbe risposto così: sono stato un vigliacco a chiederglielo.»

Il comportamento del mostro continuava a sbalordire il vescovo. Quel prete lo aveva trasformato. Ricordò il colloquio di anni prima, in quella stessa stanza: la faccia bianca di don Lisi, i capelli di fanciullo, gli occhi scuri. Lo avevano trascinato nel processo, l’onorevole e gli scagnozzi della diocesi con i loro ragionamenti saccenti. Il cerimoniere, quante arie si dava durante le funzioni e mai un atteggiamento di pietà, di devozione. La chiamava enfasi la pietà. Lui aveva soprannominato don Lisi il parroco rettorico. E come ragionava svelto, preciso, distaccato, imparziale. Gli prendeva spesso la mano nelle decisioni, gli faceva anche da segretario, comandava lui ormai, pur con l’apparente ossequio verso la dignità episcopale: tutto forma. Il contrario di don Lisi. Questo sì che era un prete.



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