Il pianista. Varsavia 1939-1945. La straordinaria storia di un sopravvissuto by Wladyslaw Szpilman

Il pianista. Varsavia 1939-1945. La straordinaria storia di un sopravvissuto by Wladyslaw Szpilman

autore:Wladyslaw Szpilman [Szpilman, Wladyslaw]
La lingua: ita
Format: epub, azw3, mobi
Tags: Autobiografia
editore: Baldini Castoldi
pubblicato: 2013-03-14T23:00:00+00:00


CAPITOLO 11.

Tiratori scelti, insorgete!

Avevo cambiato alloggio ancora una volta, l'ultimo di non so quanti

traslochi da quando abitavamo in via Sliska e da quando era scoppiata la guerra. Questa volta ci furono assegnate stanze in coabitazione o

meglio, celle contenenti solo lo stretto necessario e dei tavolacci.

Dividevo la mia con tre membri della famiglia Pròzariski e con la

signora A., una persona silenziosa ed estremamente riservata, a dispetto della coabitazione alla quale era stata costretta. Già la prima notte

che trascorsi lì feci un sogno che mandò in fumo le mie ultime

illusioni, Sembrava la conferma definitiva di ciò che presumevo fosse il destino della mia famiglia. Sognai mio fratello Henryk che mi si

avvicinava e si chinava sul mio letto dicendo: «Ora siamo morti.»

Alle sei del mattino fummo svegliati da un continuo andirivieni nel

corridoio. Si sentiva parlare a voce alta, ferveva una grande attività.

Erano gli operai privilegiati adibiti alla ristrutturazione del palazzo

del comandante delle SS di Varsavia in Aleje Ujazdowskie che stavano

andando al lavoro. La loro condizione «privilegiata» significava che,

prima di allontanarsi, ricevevano una zuppa sostanziosa con carne,

sufficiente a fornir loro energia per qualche ora. Noi uscimmo quasi

subito dopo, il ventre pressoché vuoto dopo una ciotola di brodaglia. Il suo irrilevante valore nutritivo era pari all'importanza del nostro

lavoro: dovevamo ripulire il cortile dell'edificio del Consiglio

ebraico.

Il giorno seguente, mandarono me, Pròzariski e il figlio adolescente

nella struttura in cui si trovavano i magazzini del Consiglio e gli

appartamenti dei suoi funzionari. Erano le due del pomeriggio quando si

udirono l'ormai famigliare fischio e il solito urlo dei tedeschi che

chiamavano tutti a raccolta nel cortile. Benché avessimo già sofferto

abbastanza per mano loro, ci si gelò il sangue e ci immobilizzammo come

statue di sale. Solo due giorni prima c'erano stati assegnati dei numeri che significavano «la vita.» Tutti in quell'edificio ne avevano uno,

quindi non poteva certamente trattarsi di un'altra selezione. E in

questo caso, di che cosa si trattava? Ci affrettammo a scendere. In

effetti era proprio una selezione. E, ancora una volta, vidi persone

disperarsi mentre gli uomini delle SS con urla colleriche separavano

brutalmente le famiglie e sceglievano quanti dovevano andare a destra e

quanti a sinistra, bestemmiando e picchiandoci. Invece, di nuovo il

nostro gruppo di lavoro era stato risparmiato, a parte qualche

eccezione. Come il figlio di Pròzariski, un ragazzo adorabile col quale

avevo stretto amicizia. Gli volevo già molto bene, anche se

condividevamo la stessa stanza da appena due giorni. Non voglio

descrivere la disperazione dei suoi genitori. Nel corso di quei mesi

migliaia di altre madri e di altri padri avevano vissuto la stessa

disperazione. La selezione presentava poi anche un'altra peculiarità: le famiglie più in vista della comunità ebraica comperavano la propria

libertà dai cosiddetti incorruttibili ufficiali della Gestapo. Per

raggiungere la quota stabilita, falegnami, camerieri, parrucchieri,

barbieri e altra manodopera qualificata che sarebbe realmente potuta

essere utile ai tedeschi, furono mandati al posto loro all'Umschlagplatz e condotti alla morte. Tra parentesi, il giovane Pròzariski riuscì

a fuggire e sopravvisse un po' più a lungo.

Un giorno, di lì a poco, il capo del nostro gruppo mi disse che era

riuscito a farmi assegnare a quello che lavorava nell'edificio della

caserma delle SS nel lontano quartiere di Mokotow.



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