Il Purgatorio di Dante by Vittorio Sermonti

Il Purgatorio di Dante by Vittorio Sermonti

autore:Vittorio Sermonti [Sermonti, Vittorio]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 978-88-11-00111-9
editore: Garzanti
pubblicato: 2021-02-23T00:00:00+00:00


Ricorditi, lettor, se mai ne l’alpe

ti colse nebbia per la qual vedessi

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non altrimenti che per pelle talpe,

come, quando i vapori umidi e spessi

a diradar cominciansi, la spera

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del sol debilemente entra per essi;

e fia la tua imagine leggera

in giugnere a veder com’io rividi

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lo sole in pria, che già nel corcar era.

Sì, pareggiando i miei co’ passi fidi

del mio maestro, usci’ fuor di tal nube

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ai raggi morti già ne’ bassi lidi.

O imaginativa, che ne rube

talvolta sì di fuor, ch’om non s’accorge

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perché dintorno suonin mille tube,

chi move te, se ’l senso non ti porge?

Moveti lume che nel ciel s’informa

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per sé o per voler che giù lo scorge.

De l’empiezza di lei che mutò forma

ne l’uccel ch’a cantar più si diletta,

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ne l’imagine mia apparve l’orma;

e qui fu la mia mente sì ristretta

dentro da sé, che di fuor non venìa

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cosa che fosse allor da lei ricetta.

Poi piovve dentro a l’alta fantasia

un crucifisso, dispettoso e fero

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ne la sua vista, e cotal si moria:

intorno ad esso era il grande Assuero,

Estèr sua sposa e ’l giusto Mardoceo,

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che fu al dire e al far così intero.

E come questa imagine rompeo

sé per se stessa, a guisa d’una bulla

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cui manca l’acqua sotto qual si feo,

surse in mia visïone una fanciulla

piangendo forte, e dicea: ‘O regina,

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perché per ira hai voluto esser nulla?

Ancisa t’hai per non perder Lavina:

or m’hai perduta! Io son essa che lutto,

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madre, a la tua pria ch’a l’altrui ruina’.

Come si frange il sonno ove di butto

nova luce percuote il viso chiuso,

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che fratto guizza pria che muoia tutto;

così l’imaginar mio cadde giuso

tosto che lume il volto mi percosse,

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maggior assai che quel ch’è in nostro uso.

I’ mi volgea per veder ov’io fosse,

quando una voce disse “Qui si monta”,

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che da ogne altro intento mi rimosse,

e fece la mia voglia tanto pronta

di riguardar chi era che parlava,

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che mai non posa, se non si raffronta.

Ma come al sol che nostra vista grava

e per soverchio sua figura vela,

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così la mia virtù quivi mancava.

“Questo è divino spirito, che ne la

via da ir sù ne drizza sanza prego,

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e col suo lume se medesmo cela.

Sì fa con noi, come l’uom si fa sego;

ché quale aspetta prego e l’uopo vede,

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malignamente già si mette al nego.

Or accordiamo a tanto invito il piede:

procacciam di salir pria che s’abbui,

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ché poi non si poria, se ’l dì non riede”.

Così disse il mio duca, e io con lui

volgemmo i nostri passi ad una scala;

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e tosto ch’io al primo grado fui,

senti’mi presso quasi un muover d’ala

e ventarmi nel viso e dir: ‘Beati

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pacifici, che son sanz’ira mala!’.

Già eran sovra noi tanto levati

li ultimi raggi che la notte segue,

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che le stelle apparivan da più lati.

‘O virtù mia, perché sì ti dilegue?’,

fra me stesso dicea, ché mi sentiva

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la possa de le gambe posta in triegue.

Noi eravam dove più non saliva

la scala sù, ed eravamo affissi

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pur come nave ch’a la piaggia arriva.

E io attesi un poco, s’io udissi

alcuna cosa nel novo girone;

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poi mi volsi al maestro mio, e dissi:

“Dolce mio padre, dì, quale offensione

si purga qui nel giro dove semo?

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Se i piè si stanno, non stea tuo sermone”.

Ed elli a



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