Il talento by Cesare De Marchi

autore:Cesare De Marchi [De Marchi, Cesare]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mondadori
pubblicato: 2022-06-07T12:00:00+00:00

12

Quanto, e quanto disordinatamente, avessi bevuto mi fu chiaro nel momento in cui posai il primo piede a terra, avendo ancora il sedere insonnolito nel dolcissimo cuscino dell’automobile: l’estromissione del secondo piede, e soprattutto della seconda gamba, dall’abitacolo mi costò un inconsueto sforzo di volontà. Ora comunque ero lì tentennante sul marciapiede, e mentre con una mano facevo un distratto cenno di ringraziamento a Dino, con l’altra frugai la tasca della giacca in fondo alla quale ritrovai le chiavi di casa.

Alice mi stava a fianco, con la gran testa rossa un po’ reclinata, gli occhi socchiusi in due fessure verdi, le labbra leggermente sporte: tra la perplessità e il preannuncio di un bacio. Quanto all’autista, gli aveva gettato un brusco grazie senza neanche gratificarlo di un’occhiata.

«Allora mi fai salire?» La voce roca mi accarezzò l’orecchio mentre la macchina scivolava via per il silenzio del viale lasciandosi morire dietro un lento rotolio di pneumatici.

La mia ospite mi guidò la mano nell’introdurre la punta indecisa della chiave dentro la serratura, a una certa altezza del massiccio portone di legno di casa mia.

La scala stretta, una breve rampa sopra la quale impallidiva un’unica lampadina pendente da un filo giallo, ci ospitò affiancati, e io ebbi la gradevole sensazione di un sostegno al mio affanno deambulatorio. Nel lungo corridoio del piano il sostegno, perdendo la sua ragion d’essere, si addolcì in un abbraccio (i ricci rossi premevano con una loro molle tenacia la mia tempia, la mia guancia). L’ultimo timore concesso alla mia vacillante coscienza – che dalla porta dei fidanzatini sgorgassero proprio ora i gemiti sempre meno soffocati che avevano desolato tante delle mie notti senza Maria – si rivelò fortunatamente infondato.

La chiave piccola questa volta non voleva proprio saperne di imbroccare l’agognata fessura, sicché la cedetti del tutto alla mano ferma della mia accompagnatrice, che in un attimo spalancò la porta. Io poi allungando la mano all’interruttore dell’ingresso feci irrompere un’accecante pennellata nella retrostante camera da letto.

«Accomodati» dissi.

Lì dove si trovava, sulla soglia, con la schiena addossata a un battente della porta e la testa pigramente calata sulla spalla, Alice mi sorrise a fior di labbra senza dissigillare le palpebre.

«Vai per le spicce tu!»

Non capii; o per meglio dire, ero in un tale stato di prostrazione alcolica che ogni desiderio diverso dal sonno esulava castamente da me.

«Sì sì, le acque chete come te le conosco…» Meno opportunamente aggiunse: «E mi piacciono anche». Dopodiché cercò di ghermirmi la nuca con la mano, riuscendo invece a una specie di scappellotto per effetto del quale la mia bocca venne a toccare la sua. «Non ne puoi proprio più, eh?» E mancando il presumibile bersaglio, una lingua appuntita mi lambì la punta del naso.

«Su, Alice, entriamo.»

Riuscii almeno a spingerla dentro casa e a richiudere la porta, contro la quale ricadde però con la schiena. Ebbe un piccolo sussulto di riso, come un frullo di raganella; adesso il suo sguardo era sparito sotto la sonnacchiosa lascivia delle palpebre. Ma nel momento in cui feci per afferrarla sotto

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