Il teatro della memoria - La sentenza memorabile by Leonardo Sciascia

autore:Leonardo Sciascia [Sciascia, Leonardo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Adelphi
pubblicato: 2023-01-16T23:00:00+00:00

Il professore lo legge: c’era dentro un signore cieco al pianoforte e poi, nella chiesa del Santo di Padova, una messa cantata di don Lorenzo Perosi. La stimolazione della linea assiale del dito indice non solo dunque aveva il potere di evocare i ricordi più lontani, ma anche di captare in anticipo la visione di fatti che stavano per accadere.

Il 10 marzo del 1931 aveva inizio, a Firenze, il processo di appello. La parte Canella aveva presentato una memoria a stampa di 210 pagine, la parte Bruneri di 225. Nel frattempo (1930) era uscito, autore il Prof. Giulio Canella, 310 pagine, il libro Alla ricerca di me stesso: scritto e stampato con evidente fretta. Il teatro della memoria vi è costruito quasi compiutamente. Della memoria che avrebbe dovuto essere del professor Canella, del capitano Canella, e di cui un altro si era, con perversa prontezza e lucidità, appropriato. E appare evidente, l’indebita appropriazione, sopratutto per lo squilibrio quantitativo che c’è tra i ricordi degli anni della guerra e quelli di tutti gli altri anni della vita: spiegabile col fatto che le lettere dal fronte del Canella, le fotografie inviate alla famiglia, le descrizioni di luoghi e di battaglie reperibili nelle cronache dei giornali e le rievocazioni che a voce ne facevano i reduci, a sollecitare e rinverdire la memoria dello smemorato, avevano fornito più materiale, per l’edificazione del sistema mnemonico, del teatro della memoria, di quanto ne poteva fornire la signora Canella o il fratello Renzo o gli amici d’infanzia e di giovinezza. Un’esperienza come quella della guerra, rende chi l’ha vissuta inesauribilmente disposto a ricordare, a raccontare; mentre gli anni che sembrano scorrere uguali, senza avvenimenti drammatici, senza pericoli, senza traumi, si ricordano sparutamente e occasionalmente, per lampi, per intermittenze. L’esperienza di una tempesta in mare non la dimentica e sa raccontarla anche un cretino; ma per una tempesta in una coppa di champagne ci vuole il genio di Proust.

Ascoltando, dunque, tutti coloro che si erano autoeletti a suoi compagni di guerra o di prigionia (ma non uno che l’avesse conosciuto in trincea e poi ritrovato in prigionia) e integrando i loro ricordi con quel che il capitano Canella aveva scritto ai familiari e con le notizie giornalistiche dal fronte bulgaro, l’uomo che aspira all’identità dello scomparso riesce a tessere un centinaio di pagine di ricordi di guerra; ma non più di una diecina riesce a metterne insieme sull’infanzia, la giovinezza, gli studi, il contrastato amore per la cugina, il matrimonio, la paternità. E questo nella prima parte del libro, la seconda essendo interamente dedicata alla memoria altrui, e principalmente alla memoria di coloro che vennero fuori, durante i processi, a dichiarare di avere incontrato, tra il ’20 e il ’25, in terra veneta, un randagio evidentemente smemorato ma che a qualcuno aveva detto, o per confidenza o per guizzo di memoria, di chiamarsi Canella: e somigliava all’uomo di Collegno come una goccia d’acqua ad un’altra. Il randagio, su cui le testimonianze sembravano potessero rampollare all’infinito, veniva a colmare

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