Il Vecchio della Montagna by Unknown

autore:Unknown
La lingua: ita
Format: epub
editore: Adelphi
pubblicato: 2022-07-08T00:00:00+00:00

9

IL NIDO DELL’AQUILA

Cosa stava succedendo ad Alamut?

Hasan-i Sabbah, dal suo nido d’aquila, aveva assoggettato non solo i dintorni ma quasi tutte le fortezze del distretto. Solo il castello di Lammasar, altrettanto inespugnabile di Alamut, rimaneva ostile. Ovunque la popolazione dei villaggi si dichiarava ismailita. Quei nuovi sostenitori non erano iniziati, ma si accontentavano di ripetere le parole che Hasan – il signore della montagna, come lo chiamavano con deferenza – pronunziava a loro beneficio, e di obbedirgli. Gli era stato spiegato che ciò era sufficiente a salvarli. E vedremo più tardi come, tra la dottrina segreta riservata ai soli iniziati e la fede cieca richiesta ai semplici sudditi, si fosse gradualmente scavato un divario incolmabile.

Ad Alamut l’attività era gravosa. Hasan non dovette soltanto organizzare la vita del castello e la sua difesa, dirigere i suoi luogotenenti a Qazwin e nel Khuzistan, rispondere agli emissari dalla Siria e dall’Egitto, ma gli toccò anche, almeno nei primi mesi, difendersi dalle incursioni dei signori scontenti dei dintorni, e proprio nel momento in cui un pericolo imminente lo minacciava: il possibile invio di un’armata imperiale.

Eppure, da un giorno all’altro, tutto fu pronto, ognuno fu al suo posto. Si trattava, senza dubbio, del repentino compimento di un piano a lungo covato. Da quel momento in poi, Hasan si sarebbe manifestato soltanto attraverso azioni i cui «come» e i cui «perché» avrebbero dato origine a ogni sorta di congetture e di leggende. Il castello e la sua ubicazione inaccessibile ne sarebbero divenuti il simbolo.

A quell’epoca, ad Alamut, c’erano relativamente poche persone. La maggior parte di coloro che si erano presentati dopo la conquista del castello erano stati inviati, alcuni a Qazwin da Abu ‘Ali, altri nel Khuzistan da Husayn Qa’ini. Quanto agli altri capi della setta, Hasan li teneva presso di sé. Il gran maestro in carica, il venerabile ‘Abd al-Malik-i ‘Attash, rimaneva nascosto non lontano da Isfahan, nel castello di Dizkuh, insieme a suo figlio. Il villaggio compreso nella cinta muraria di Alamut contava appena una cinquantina di anime. Era gente del posto che, come gli abitanti dei villaggi circostanti, continuava a vivere secondo le proprie usanze. Ma, in aggiunta, lavorava attivamente al restauro dei vecchi bastioni, mentre ai piedi della fortezza altri paesani costruivano un canale per portare l’acqua all’interno delle mura. Erano in numero appena sufficiente per tutti i lavori necessari: piantare alberi da frutto, migliorare i terreni, curare diverse colture. Pagavano le tasse agli Ismailiti. I lavori non furono vani, e si sperava che alla fine del terzo anno i sotterranei e i serbatoi di Alamut avrebbero traboccato di provviste di ogni tipo, in previsione dei futuri assedi.

Gli Ismailiti militanti, una sessantina circa, abitavano nel castello, che aveva assunto l’aspetto di un convento. Le grandi gallerie del pianterreno e del primo piano fungevano da alloggi. Spogliate di ogni ornamento, separate da semplici tramezzi, contenevano solo stuoie e le casse indispensabili. In alcune di esse vivevano i fedeli, raggruppati secondo il loro grado iniziatico; le altre stanze erano state adibite a sala d’armi,

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