Il violino del pazzo by Selma Lagerlöf

Il violino del pazzo by Selma Lagerlöf

autore:Selma Lagerlöf [Selma Lagerlöf]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2023-05-02T22:00:00+00:00


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Ingrid era coricata in un letto a baldacchino, mollemente adagiata su un materasso di piume di due cubiti e mezzo, un lenzuolo che aveva un orlo a giorno alto un pollice e una coperta di seta ricamata con corone di Svezia e gigli di Francia. Il letto era talmente grande che poteva stendersi per il lungo o per il largo, come le aggradava, e tanto alto che ci voleva una scaletta di due gradini per salirci. Appena sotto al soffitto, un amorino lasciava ricadere su di lei drappi damascati e altri amorini alla base delle colonnine del baldacchino li sollevavano in ghirlande.

Nella stessa stanza c’era anche un vecchio comò bombato, con intarsi in legno di limone, da cui Ingrid aveva il permesso di prendere tutta la biancheria pulita e profumata che desiderava. C’era anche un armadio con molti bei vestiti colorati, di mussola e di seta, che stavano lì appesi come a chiedersi quale di loro avrebbe scelto di mettersi.

Ogni mattina al risveglio, si trovava accanto il vassoio del caffè d’argento luccicante e antiche porcellane delle Indie orientali. E ogni mattina affondava i piccoli denti bianchi in un morbido panino al latte e un delizioso dolce alle mandorle. Ogni giorno indossava un leggero abito di mussola, con un fisciù annodato sulla schiena. Portava i capelli raccolti in uno chignon sulla nuca, e una corona di riccioli sottili le scendeva sulla fronte.

Sul muro tra le finestre c’era uno specchio lungo e stretto con una grande cornice, in cui poteva guardarsi annuendo al proprio riflesso e chiedersi: «Sei tu? Sei davvero tu? E come sei arrivata qui?»

Di giorno, lasciata la camera del letto a baldacchino, Ingrid andava in genere nell’elegante salotto a ricamare al tamburello o a dipingere su seta, e quando si stancava di queste occupazioni, suonava la chitarra e cantava qualche canzone, o conversava con la Consigliera, che voleva insegnarle il francese e si divertiva a fare di lei una vera signora.

Ma era un castello incantato quello in cui era arrivata. Non riusciva a toglierselo dalla testa. Aveva avuto quel pensiero fin dal primo momento e continuava a tornare.

Nessuno arrivava mai al maniero, e nessuno andava via. Nella grande casa solo poche stanze erano in uso. Nelle altre non entrava mai nessuno. Nessuno usciva in giardino, e nessuno lo curava. Nella fattoria c’era solo un garzone e un vecchio che spaccava la legna. E la signorina Stava aveva solo due domestiche che l’aiutavano in cucina e nella stalla.

Eppure c’era sempre cibo raffinato in tavola, e Sua Eccellenza e Ingrid erano sempre servite e riverite, e vestite come dame.

Anche se nient’altro prosperava nell’antico maniero, c’era però terreno fertile per i sogni. E se nessun fiore vi veniva coltivato, Ingrid non trascurava di curare le rose rosse della sua fantasia. Le sbocciavano tutt’intorno non appena aveva un momento per sé, e le sembrava che le formassero come un pergolato sopra la testa.

Sulla riva dell’isola, dove gli alberi si chinavano sull’acqua e tendevano i lunghi rami tra le canne, e dove arbusti e alti fusti crescevano rigogliosi, c’era un sentiero che Ingrid prendeva spesso.



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