Il volo dell'occasione by Il volo dell'occasione (Fazi)

Il volo dell'occasione by Il volo dell'occasione (Fazi)

autore:Il volo dell'occasione (Fazi)
La lingua: ita
Format: epub
editore: Fazi Editore
pubblicato: 2013-11-14T00:00:00+00:00


Dovevo tornare a parlare con Renant.

Andai a rue des Saints-Pères. Lo incrociai sul marciapiedi, che spingeva il suo contrabbasso.

«Renant», lo chiamai. Mi guardò perplesso.

«Non mi riconosce?», chiesi.

«No. No. O sì? Non ricordo», mi disse confuso.

«Ci siamo visti da Flore. Quel mattino... ricorda?».

«No... forse... mi dica...».

Mi resi conto che Renant non ricordava nulla; che aveva completamente dimenticato lo sfogo e le sue confidenze suscitate da un’eccessiva quantità di Pernod. Io da mesi ero ossessionato da quella storia e lui non ricordava nulla. Mi sentivo ridicolo.

«E dunque, dica?», chiese nuovamente Renant dopo aver ripreso a camminare. «Ho fretta, sa. Tra poco c’è il concerto. Qui a Saint-Germain-des-Prés. Vuol venire? Sarà mio ospite, così dopo potremo parlare con maggior calma e mi racconterà di quell’incontro che, mi perdoni, adesso mi sfugge. È d’accordo?».

Bofonchiai un «sì».

«Bene. Le lascio un biglietto omaggio a mio nome. Adesso scappo, se permette».

Mi fermai all’incrocio con rue Jacob. Renant andava velocissimo, con il suo ingombrante strumento evitava passanti e macchine; sembrava che ballasse. Voltato l’angolo lo persi di vista.

Un quarto d’ora dopo mi trovavo davanti alla chiesa di Saint-Germain-des-Prés. La locandina annunciava la Serenata per archi di Dvorak e le Metamorphosen per 23 archi di Richard Strauss.

Chiesi al tavolo della biglietteria, all’ingresso, se era stato lasciato un biglietto omaggio per me da parte del signor Renant.

«Il contrabbassista?», chiese la bigliettaia.

«Sì».

Scorse un elenco di nomi in un foglio stropicciato.

«Ecco». Mi porse un biglietto per i secondi posti. «Si sieda dove vuole, dalla quindicesima fila in giù. O nelle navate».

Entrai. Il pubblico era scarso. Pioveva e faceva freddo. Gli spettatori delle prime file erano seduti sui banchi di chiesa. Più dietro e lungo le navate c’erano seggiole di paglia. Mi misi di fianco, lungo la navata destra, per poter osservare Renant mentre suonava.

Accolti da timidi applausi entrarono i ventitré orchestrali. Renant venne a sistemarsi poco distante da me. Attesero che si facesse silenzio e il direttore diede l’attacco. Risposero le note basse dei violoncelli, del contrabbasso e delle viole; finalmente i violini introdussero il tema dell’Eroica.

Renant leggeva la musica e ascoltava le vibrazioni del suo strumento. Come se suonasse da solo, attento soltanto a se stesso, senza alzare mai lo sguardo dallo spartito.

Possibile che quell’uomo volesse uccidere Blanche? Dubitavo di me.

Seguivo il concerto, rapito dalla lenta marcia funebre dell’Eroica variata da Strauss. Era come se la memoria di quella musica fosse stata distorta da un evento drammatico – per Strauss era stata la guerra, il bombardamento di Monaco. Del tema di Beethoven arrivava talvolta un brandello, un frammento galleggiante nell’oceano armonico delle Metamorphosen.

Cercavo di seguire quel brandello, ma sempre mi sfuggiva, sostituito, mascherato da un’altra idea musicale, simile ma non uguale, differente un’inezia, appena una semicroma che alterava l’equilibrio e le proporzioni della frase musicale che mi trascinava via per pochi secondi sino a imbattermi in un nuovo sentiero melodico. E poi un altro, e un altro, e un altro. Di nuovo la frase di Beethoven che saggiava le diverse capacità dei ventitré strumentisti e di nuovo la malinconica distorsione di Richard Strauss su quella musica.



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